L'art. 27 Cost.
1. La responsabilità penale è personale.
2. L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
3. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
...omissis...
Bene, acclarato che la responsabilità penale è personale, diventa lapalissiano che chi commtte un reato ne paghi le conseguenze.
Meno logico e poco comprensibile è l'applicazione del secondo comma dell'art. 27; ovvero, oggi un presunto reo viene arrestato e sconta mesi, per certi reati anni, di carcerazione preventiva, in attesa di giudizio. Ma, non abbiamo appena detto che l'imputato non è considerato colpevole sino alla condana definitiva. Viene il sospetto che la carcerazione preventiva assolva il compito di tenere in "gattabuia" presunti colpevoli, data l'inefficienza proverbiale della macchina della giustizia. Anche l'indulto ha assolto egregiamente a questo ingrato compito.
Valutando, poi, l'ordine delle parole pene e tendere, del terzo comma, si scopre che lo scopo della parola pena rimane la retribuzione; mentre la parola tendere ha una funzione rieducativa, ma durante la fase esecutiva dell'espiazione della pena.
E' sulla rieducazione, che mi voglio soffermare.
La rieducazione, secondo la legge ialiana, prevede che per attenuare la contraddizione tra le pene e la finalità rieducativa, delle stesse, il condannato all'ergastolo ad es. possa essere ammesso alla liberazione condizionale quando abbia scontato almeno 26 anni di pena, riducendoli ulteriormente con l'isituto della liberazione anticipata e la semilibertà (dopo 20 anni di carcere; c.d. legge Gozzini). Vige, inoltre, l'istituto della sospensione condizionale per condanna a pene detentive, con alcuni distingui, non superiori ai due anni. Vi sono, inoltre, le misure alternative al carcere, cioè la possibilità di sostituire le pene detentive brevi con sanzioni sostitutive, quali: affidamento in prova al servizio sociale; affidamento in prova per tossicodipendenti e alcooldipendenti; detenzione domiciliare; semilibertà; liberazione anticipata; permessi premio e pena pecuniaria da commisurare alle condizioni economiche del reo.
La riconciliazione mi appare tradita! "E' consentito piegare la forza con la forza". (Iscrizione sulla spada del boia della città di Monaco di Baviera, in epoca rinascimentale). A mio parere, l'Italia, culla del diritto, Paese con una civiltà giuridica ineguagliabile, presenta una legislazione, in merito, apparentemente non all'altezza e in ritardo con le esigenze e le aspettative della società. Pertanto, sarebbe auspicabile una riforma del sistema carcerario che preveda la riconversione degli istituti di pena, tendenti esclusivamente alla rieducazione e non alla detenzione del'individuo. Nessuna carcerazione preventiva dovrebbe essere concepita. Si potrebbe ovviare al problema ritirando il passaporto all'individuo e facendogli prestare cauzione, ma lasciandolo libero, in attesa del giudizio, in piena osservazione del citato art. 27 della Cost. Il giudizio, poi, non dovrebbe mai avvenire in tempi lunghi come adesso, perché un giudizio dato in ritardo perde la sua finalità rieducativa ed educativa. Inoltre, bisognerebbe recuperare l'istituto della certezza della pena, per cui pene come l'ergastolo, abbrutimento della società odierna, dovrebbero essere abolite e sostituite con pene detentive/rieducative non superiori a 15 anni, accertato che risultano molto più efficaci pene detentive/rieducative, più brevi e da scontare per intero in istituto. La pena, scontata in carcere, per i reati più gravi dovrebbe tendere esclusivamente al recupero dell'individuo attraverso mestieri, professioni, studio, espressioni artistiche, ecc..., secondo le inclinazioni di ognuno. Le pene detentive lievi (diciamo inferiori ai 3/5 anni) dovrebbero essere scontate esclusivamente fuori dal carcere, sempre attraverso le varie espressioni lavorative, artistiche e di studio, la firma in Questura, la limitazione alla circolazione.
D'altronde, lo spirito umanistico del filosofo Boezio, già nel VI secolo, affermava che il reo dovrebbe essere condotto davanti al giudice non da accusatori adirati ma, come ammalati che si portano dal medico, da persone piuttosto benevole e misericordiose, affinché possano, mediante il castigo, liberarsi dalla malattia della colpa.
Un sistema così congeniato mi appare molto più moderno e funzionale dell'attuale per una società, come la nostra, che ha appena imboccato la strada del del terzo millennio.
Che ne dite?