venerdì 29 dicembre 2006

Il concetto filosofico di verità



Nella storia della filosofia, il concetto di verità è stato ordito in almeno due diverse prospettive: l'una antologica (studio della verità in quanto tale) e l'altra strettamente connessa al discorso umano.
Nella prospettiva antologica, la verità è considerata come una qualità intrinseca dell'essere umano, concetto che si ritrova sia nel pensiero greco di Platone, dove la verità era intesa come una proprietà dell'essere, a cui l'uomo aspira ad elevarsi; sia nel pensiero cristiano di Sant'Agostino e San Tommaso, dove la verità appartiene alla sfera ultraterrena e tende ad identificarsi con il verbo divino.
Nella prospettiva della verità connessa al discorso umano, il concetto di verità è stato elaborato sotto la categoria della definizione e del criterio di verità. La ricerca di un criterio di verità riguarda il chiarimento di cosa significa essere vero. E, in proposito, la definizione più antica si trova in Platone, per il quale vero è il discorso "che dice gli enti come sono", falso è il discorso" che dice come non sono". A questa definizione farà riferimento San Tommaso con la concezione della verità come "adaequatio rei et intellectus", cioè la corrispondenza tra realtà e pensiero o discorso.
Questa teoria della verità come corrispondenza è presente, in epoca moderna, in Leibiniz, in Wolff e Kant. Leibiniz distingueva tra giudizi la cui verità dipende dai fatti dell'esperienza e giudizi la cui verità è basata esclusivamente sui principi logici della ragione. La verità derivante dai fatti dell'esperienza esprime delle verità contingenti (accidentali), potendo essere negate senza contraddizione; mentre, la verità basata esclusivamente sui principi logici della ragione esprime delle verità necessarie, essendo inconcepibile la loro negazione in quanto implicante contraddizione.

sabato 23 dicembre 2006

L'origine di Natale


L'origine della festa di Natale, tra le principali dell'anno liturgico, è stata molto discussa. Si riconosce ormai universalmente che una festa della natività di Gesù Cristo è ignota ai Padri dei primi tre secoli e che manca una tradizione autorevole circa la data della sua nascita; alcuni scrittori del III sec. la collocavano al 6 gennaio o all'intorno dell'equinozio primaverile (25, poi 21 marzo). Si è oggi d'accordo nel ritenere che la festa del Natale sia d'origine romana ed è certo che a Roma, verso la metà del IV sec., si celebava il 25 dicembre. Nella scelta del 25 dicembre come giorno di Natale del Salvatore ha influito il calendario civile romano che alla fine del III sec. celebrava in quel giorno il solstizio invernale e il natale del "sole invitto": i cristiani vollero così opporre e sovrapporre alla festa pagana la festa della nascita del vero sole, Cristo, che i Padri chiamavano "Sole di giustizia". Da Roma la festa natalizia passò ben presto in Africa; sul finire del IV sec. passò a Milano e di qui in altre diocesi dell'alta Italia, come a Torino e Ravenna. La festa del natale entrò pure nelle Chiese orientali, nelle quali fino ad allora era celebrata il 6 gennaio, unita con l'Epifania. Nel 343 era regolarmente celebrata presso le chiese della Siria del Nord; dopo lunga resistenza, nel 386 fu accolta anche ad Antiochia. Verso la medesima epoca il Natale era introdotto a Costantinopoli. A Gerusalemme, alla fine del IV sec. la natività del Signore si celebrava ancora il 6 gennaio; ma, iniziò, subito dopo, a celebrarsi il 25 dicembre. In Egitto, all'inizio del V sec., il Natale era celebrato con l'Epifania, il 6 gennaio: qualche anno più tardi cominciò a celebrarsi, anche qui, il 25 dicembre.
Così, in meno di un secolo, la grande festa occidentale si era diffusa in tutta la cristianità.
(Dalla "Piccola Treccani" - vol VIII).
Come si evince, è una festa moto opinabile nella data e non solo... Forse, è opportuno, per chi crede, soffermarsi solo sul significato della festa, senza indagare più di tanto.

Comunque la pensiate, Buone feste a tutti!

giovedì 21 dicembre 2006

Elogio dell' Amore


Definito, a giusta ragione, il capolavoro letterario, dal Convito di Platone, ho liberamnete tratto "l'elogio dell'Amore".
Durante il convito molti sono stati gli interventi sull'elogio dell'Amore, tema proposto da Erissimaco. Ma, tutti gli interventi lasciano Socrate, presente al banchetto, perplesso perché nulla ha udito sulla natura di Amore. Perciò si dispone egli stesso, nell'ultimo discorso del dialogo, ad esaurire nella luce della genuina filosofia questo importante tema. Nella sua esposizione Socrate asserisce di rifarsi agli argomenti della veggente Diotima, sacerdotessa e maestra del filosofo: Amore in quanto privo di bontà e bellezza, non è un dio. Neppure mortale, tuttavia ha natura intermedia, è un demone possente tra il divino e l'umano. Molti sono i demoni e di ogni specie. Amore ne è uno. E' figlio di Poro (Dio dell'abbondanza, personificazione della prudenza), definito Mancanza, poiché non ha ciò che brama e di Penia (Dea della povertà), definita Ingegno, poiché con ogni espediente cerca di procurarsi l'oggetto amato (tant'é che rimane incinta di Poro, addormentandosi accanto a lui). Diventa, quindi, compagno e ministro di Afrodite (Dea tendente alla bellezza e procreazione), perché fu concepito nel giorno della sua nascita ed è, nello stesso tempo, amante del bello perché bella è Afrodite. E' sempre povero e tutt'altro che delicato e bello, anzi è grossolano, mezzo selvatico, sempre scalzo, vagabondo, dorme sempre per terra, allo scoperto, davanti agli usci e nelle strade, sotto il sereno, perché ha la natura della madre Penia ed è tuttuno con la miseria. Per parte del padre Poro, invece, è fatto per insidiare ciò che è bello e buono, essendo di natura virile, audace, violento, gran cacciatore, sempre pronto a tramare inganni, amico del sapere, ricco di espedienti, tutta la vita dedito a filosofare, abilissimo imbroglione, esperto di veleni, amante della propria opinione. Non è, né immortale, né mortale; ma, in uno stesso giorno, sboccia rigolgioso alla vita e muore, poi torna a vivere grazie a mille espedienti e in virtù della natura paterna. Sfumano tra le sue dita le ricchezze che si procura, così che Amore non è mai al verde e mai ricco. Inoltre, è a mezzo tra sapienza e ignoranza. Amore, insomma, tende al possesso supremo: il Bene. A questa conquista giunge per gradi, prima attratto dalla bellezza delle forme sensibili, poi percorrendo la gerarchia dei valori, fino alla contemplazione del Bello ideale che, al livello più alto, s'identifica con il Bene assoluto.

Candidato


Candidatus: "vestito di bianco", a simboleggiare la purezza di colui che si presentava, per rappresentare. Nel diritto romano, dell'età repubblicana, era colui che presentava una dichiarazione al magistrato, che presiedeva l'assemblea elettorale, per la richiesta dei voti agli elettori. Durante l'impero la dichiarazione era fatta, anziché dall'interessato, dall'Imperatore ed era rivolta al Senato, che doveva scegliere tra i vari candidati.
Nei diritti elettorali attuali esistono norme relative alla presentazione delle candidature (che può essere posta da un partito, da un comitato, da amici del candidato, o da questo stesso).
Nel diritto italiano la dichiarazione ufficiale di candidatura è prescritta per consentire al candidato la designazione dei suoi rappresentanti ai seggi elettorali e all'ufficio centrale.
La situazione, in casa nostra, vede, pertanto, una folta schiera di candidati (che non vestono di bianco) scelti e recuperati dai partiti, attraverso i transfughi, i rinviati a giudizio, i condannati, gli opportunisti, i mestieranti della politica. Se sono transfughi accampano dei buoni diritti per aver cambiato partito (giammai fu un fatto di poltrona); se sono rinviati a giudizio o condannati sono dei perseguitati di una magistratura politicizzata; se sono opportunisti hanno ascoltato il vento favorevole delle elezioni future, riallocandosi, di conseguenza; se sono mestieranti della politica adducono un buon motivo per esercitarlo: sono capaci. Le regole elettorali non richiedono loro la "tunica bianca"e loro se ne guardano bene dall'evidenziare l'improbabile "purezza", di fronte all'elettore. E' anche vero che, la richiesta di purezza risale a un paio di millenni fa. Si potrebbe, quindi, obiettare che erano regole di un popolo "incivile" dedito all'uso della forza e della guerra; oggi, però, che siamo molto più civili e democratici, siamo disposti a farci governare o rappresentare da chi, per dirlo con i termini di allora: puro non è.
Si auspica, ragionevolmente, che in futuro si riesca a farsi rappresentare da candidati puri, eleggibili, al massimo per due legislature (affinché fare politica non diventi un mestiere), con un sistema elettorale proporzionale (l'unico che fotografa la realtà del Paese) con sbarramento percentuale, al fine di disperdere la fronda. E, siccome sono un sognatore "puro", auspico anche, una rappresentanza parlamentare realizzata in base alle varie espressioni del Paese: lavorative, sociali, culturali e non come ora dove in Parlamento siedono quasi esclusivamente politici di professione, avvocati e magistrati.

lunedì 18 dicembre 2006

Pena e retribuzione


L'art. 27 Cost.
1. La responsabilità penale è personale.
2. L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
3. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
...omissis...

Bene, acclarato che la responsabilità penale è personale, diventa lapalissiano che chi commtte un reato ne paghi le conseguenze.
Meno logico e poco comprensibile è l'applicazione del secondo comma dell'art. 27; ovvero, oggi un presunto reo viene arrestato e sconta mesi, per certi reati anni, di carcerazione preventiva, in attesa di giudizio. Ma, non abbiamo appena detto che l'imputato non è considerato colpevole sino alla condana definitiva. Viene il sospetto che la carcerazione preventiva assolva il compito di tenere in "gattabuia" presunti colpevoli, data l'inefficienza proverbiale della macchina della giustizia. Anche l'indulto ha assolto egregiamente a questo ingrato compito.
Valutando, poi, l'ordine delle parole pene e tendere, del terzo comma, si scopre che lo scopo della parola pena rimane la retribuzione; mentre la parola tendere ha una funzione rieducativa, ma durante la fase esecutiva dell'espiazione della pena.
E' sulla rieducazione, che mi voglio soffermare.
La rieducazione, secondo la legge ialiana, prevede che per attenuare la contraddizione tra le pene e la finalità rieducativa, delle stesse, il condannato all'ergastolo ad es. possa essere ammesso alla liberazione condizionale quando abbia scontato almeno 26 anni di pena, riducendoli ulteriormente con l'isituto della liberazione anticipata e la semilibertà (dopo 20 anni di carcere; c.d. legge Gozzini). Vige, inoltre, l'istituto della sospensione condizionale per condanna a pene detentive, con alcuni distingui, non superiori ai due anni. Vi sono, inoltre, le misure alternative al carcere, cioè la possibilità di sostituire le pene detentive brevi con sanzioni sostitutive, quali: affidamento in prova al servizio sociale; affidamento in prova per tossicodipendenti e alcooldipendenti; detenzione domiciliare; semilibertà; liberazione anticipata; permessi premio e pena pecuniaria da commisurare alle condizioni economiche del reo.
La riconciliazione mi appare tradita! "E' consentito piegare la forza con la forza". (Iscrizione sulla spada del boia della città di Monaco di Baviera, in epoca rinascimentale). A mio parere, l'Italia, culla del diritto, Paese con una civiltà giuridica ineguagliabile, presenta una legislazione, in merito, apparentemente non all'altezza e in ritardo con le esigenze e le aspettative della società. Pertanto, sarebbe auspicabile una riforma del sistema carcerario che preveda la riconversione degli istituti di pena, tendenti esclusivamente alla rieducazione e non alla detenzione del'individuo. Nessuna carcerazione preventiva dovrebbe essere concepita. Si potrebbe ovviare al problema ritirando il passaporto all'individuo e facendogli prestare cauzione, ma lasciandolo libero, in attesa del giudizio, in piena osservazione del citato art. 27 della Cost. Il giudizio, poi, non dovrebbe mai avvenire in tempi lunghi come adesso, perché un giudizio dato in ritardo perde la sua finalità rieducativa ed educativa. Inoltre, bisognerebbe recuperare l'istituto della certezza della pena, per cui pene come l'ergastolo, abbrutimento della società odierna, dovrebbero essere abolite e sostituite con pene detentive/rieducative non superiori a 15 anni, accertato che risultano molto più efficaci pene detentive/rieducative, più brevi e da scontare per intero in istituto. La pena, scontata in carcere, per i reati più gravi dovrebbe tendere esclusivamente al recupero dell'individuo attraverso mestieri, professioni, studio, espressioni artistiche, ecc..., secondo le inclinazioni di ognuno. Le pene detentive lievi (diciamo inferiori ai 3/5 anni) dovrebbero essere scontate esclusivamente fuori dal carcere, sempre attraverso le varie espressioni lavorative, artistiche e di studio, la firma in Questura, la limitazione alla circolazione.
D'altronde, lo spirito umanistico del filosofo Boezio, già nel VI secolo, affermava che il reo dovrebbe essere condotto davanti al giudice non da accusatori adirati ma, come ammalati che si portano dal medico, da persone piuttosto benevole e misericordiose, affinché possano, mediante il castigo, liberarsi dalla malattia della colpa.
Un sistema così congeniato mi appare molto più moderno e funzionale dell'attuale per una società, come la nostra, che ha appena imboccato la strada del del terzo millennio.
Che ne dite?

sabato 16 dicembre 2006

Elogio alla "sbronza consapevole"


In vino veritas o in vino salus? Quando Goethe affermava che "il vino allieta il cuore dell'uomo..." alludeva di certo allo spirito più che al nostro organo pulsante. A questo, invece, hanno rivolto la laoro attenzione i ricercatori di diversi paesi.
Da quasi un ventennio, infatti, sempre più numerosi studi hanno dimostrato che i fenoli presenti nel vino rosso agendo come antiossidante abbassano il tasso di lipidi. Secondo una ricerca israeliana, ad esempio, il resveratrolo, composto fenolico appartenente alla famiglia dei flavonoidi, impedisce l'ossidazione dell'Ldl (il colesterolo "cattivo" che, ossidato, diventa pericoloso per le arterie) ed inibisce l'aggregazione delle piastrine.
Perché il vino rosso? Perché il resveratrolo è contenuto prevalentemente nella buccia dell'uva e, poiché nella preparazione dei vini rossi la fermentazione del mosto avviene al contatto con le bucce, viene favorita una maggiore estrazione di questa sostanza. Anche l'ambiente e le pratiche agronomiche hanno una notevole importanza e contribuiscono a modificare il contenuto di resveratrolo. In Abruzzo, alcuni anni fa, un gruppo di ricercatori del Laboratorio di Epidemiologia dell'Istituto Mario Negri Sud, in collaborazione con l'Università di Chieti e con gli ospedali della Regione, ha svolto una ricerca, chiamata "Progetto 3A" (Alimentazione-Aterosclerosi-Abruzzo), che ha esaminato il rapporto tra abitudini alimentari, di oltre 2000 mila individui, della popolazione locale e la frequenza di malattie cardiovascolari (infarto acuto del miocardo, angina instabile, ictus) Ebbene, i risultati hanno dimostrato che all'assunzione di 1-3 bicchieri di vino rosso al giorno è associata ad una riduzione del 23% del rischio di malattie cardiovascolari, che diventa del 50% nelle persone di età compresa tra i 30 e i 54 anni.
Ed allora, possiamo ben dire, con orgoglio, che un buon bicchiere di vino al giorno toglie davvero il medico di torno. Buona s....a, pardon, bevuta a tutti!

venerdì 15 dicembre 2006

Autorità


Pietro, il tipo più rappresentativo della comunità, si alza e parla. Ed è seguito... (At.1,15-22).
Nell'ambiente in cui siamo esistono, di fatto, persone che hanno una sensibilità maggiore ad esperienze di umanità, svilupano, di fatto, una comprensione maggiore dell'ambiente e delle persone, provocano, di fatto, più facilmente un movimento di comunità (politica, religiosa o aziendale). Essi vivono la nostra esperienza più intensamente, più impegnati; ognuno di noi sente se stesso meglio rappresentato in loro: con loro ci si sente molto più volentieri gomito a gomito cogli altri. Riconoscere questo fenomeno è lealtà verso se stessi e verso la propria interiorità; è dovere di saggezza. Ma, l'incontro con chi più sente e capisce la mia esperienza, la mia sofferenza, il mio bisogno, la mia attesa, mi porta naturalmente a seguirlo, per il suo carisma che nello scoprirci impotenti e soli, ci spinge a riunirci.
In questo senso, tali persone costituiscono naturalmente per noi un'autorità (augeo, verbo latino che vuol dire: "Colui che fa crescere gli altri"), anche se non sono insignite di diritti o di titoli. Naturalmente autorità diviene, innanzitutto, chi più lealmente comprende o vive l'esperienza umana; differisce totalmente dall'autorità costituita, ovvero: colui che ha responsabilità, chi deve rispondere.
E' necessario tener presente, però, che quando si parla di umanità o di esperienza umana non lo si fa in astratto o, genericamente, come siamo abituati a fare nella società in cui siamo immersi. Quando parliamo di umanità o di uomo parliamo di un essere concreto; "io", carico di domande, di desideri, di gioie e di fatiche, che tende alla felicità, che cerca un senso di sé, che cerca qualcosa per cui valga la pena vivere. Autorità sarà, dunque, non chi prevarica su di me o tende a rendermi, mediante il fascino personale o l'intelligenza o altre capacità eccellenti, funzionale al proprio progetto o ai propri interessi; ma chi vive con particolare acutezza la mia reale situazione di uomo e sa darle espressione, laddove io ne sono incapace; sa leggerla fino in fondo, laddove io non sono in grado di farlo. Autorità è chi, avendolo intuito lancia la mia umanità verso il proprio destino. L'autorità sorge così come ricchezza d'esperienza che s'ipone agli altri, genera novità, stupore, rispetto. C'é un'attrattiva inevitabile in essa. C'é un'energico suggerimento in essa. Non valorizzare la presenza di questa autorità di fatto, di cui l'Essere semina ogni ambiente, è grettezza abbarbicata alle proprie misure.
L'incontro con questa autorità naturale educa la nostra sensibilità e la nostra coscienza, ci fa meglio scoprire ciò di cui siamo fatti e ciò cui aspiriamo dal fondo della nostra presente indigenza.

mercoledì 13 dicembre 2006

Numero zero


Salve,
siamo alle prove tecniche; ma, sicuramente, insieme a voi riusciremo nell'intento di creare un dialogo virtuoso e virtuale su tutti i temi: cultura, storia , politica, economia, spettacolo, costume- società. Altri, sicuramente, di non minore spessore, se ne potranno aggiungere con la vostra critica, ma anche con la vostra collaborazione.

Buona lettura a tutti!