lunedì 18 dicembre 2006

Pena e retribuzione


L'art. 27 Cost.
1. La responsabilità penale è personale.
2. L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
3. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
...omissis...

Bene, acclarato che la responsabilità penale è personale, diventa lapalissiano che chi commtte un reato ne paghi le conseguenze.
Meno logico e poco comprensibile è l'applicazione del secondo comma dell'art. 27; ovvero, oggi un presunto reo viene arrestato e sconta mesi, per certi reati anni, di carcerazione preventiva, in attesa di giudizio. Ma, non abbiamo appena detto che l'imputato non è considerato colpevole sino alla condana definitiva. Viene il sospetto che la carcerazione preventiva assolva il compito di tenere in "gattabuia" presunti colpevoli, data l'inefficienza proverbiale della macchina della giustizia. Anche l'indulto ha assolto egregiamente a questo ingrato compito.
Valutando, poi, l'ordine delle parole pene e tendere, del terzo comma, si scopre che lo scopo della parola pena rimane la retribuzione; mentre la parola tendere ha una funzione rieducativa, ma durante la fase esecutiva dell'espiazione della pena.
E' sulla rieducazione, che mi voglio soffermare.
La rieducazione, secondo la legge ialiana, prevede che per attenuare la contraddizione tra le pene e la finalità rieducativa, delle stesse, il condannato all'ergastolo ad es. possa essere ammesso alla liberazione condizionale quando abbia scontato almeno 26 anni di pena, riducendoli ulteriormente con l'isituto della liberazione anticipata e la semilibertà (dopo 20 anni di carcere; c.d. legge Gozzini). Vige, inoltre, l'istituto della sospensione condizionale per condanna a pene detentive, con alcuni distingui, non superiori ai due anni. Vi sono, inoltre, le misure alternative al carcere, cioè la possibilità di sostituire le pene detentive brevi con sanzioni sostitutive, quali: affidamento in prova al servizio sociale; affidamento in prova per tossicodipendenti e alcooldipendenti; detenzione domiciliare; semilibertà; liberazione anticipata; permessi premio e pena pecuniaria da commisurare alle condizioni economiche del reo.
La riconciliazione mi appare tradita! "E' consentito piegare la forza con la forza". (Iscrizione sulla spada del boia della città di Monaco di Baviera, in epoca rinascimentale). A mio parere, l'Italia, culla del diritto, Paese con una civiltà giuridica ineguagliabile, presenta una legislazione, in merito, apparentemente non all'altezza e in ritardo con le esigenze e le aspettative della società. Pertanto, sarebbe auspicabile una riforma del sistema carcerario che preveda la riconversione degli istituti di pena, tendenti esclusivamente alla rieducazione e non alla detenzione del'individuo. Nessuna carcerazione preventiva dovrebbe essere concepita. Si potrebbe ovviare al problema ritirando il passaporto all'individuo e facendogli prestare cauzione, ma lasciandolo libero, in attesa del giudizio, in piena osservazione del citato art. 27 della Cost. Il giudizio, poi, non dovrebbe mai avvenire in tempi lunghi come adesso, perché un giudizio dato in ritardo perde la sua finalità rieducativa ed educativa. Inoltre, bisognerebbe recuperare l'istituto della certezza della pena, per cui pene come l'ergastolo, abbrutimento della società odierna, dovrebbero essere abolite e sostituite con pene detentive/rieducative non superiori a 15 anni, accertato che risultano molto più efficaci pene detentive/rieducative, più brevi e da scontare per intero in istituto. La pena, scontata in carcere, per i reati più gravi dovrebbe tendere esclusivamente al recupero dell'individuo attraverso mestieri, professioni, studio, espressioni artistiche, ecc..., secondo le inclinazioni di ognuno. Le pene detentive lievi (diciamo inferiori ai 3/5 anni) dovrebbero essere scontate esclusivamente fuori dal carcere, sempre attraverso le varie espressioni lavorative, artistiche e di studio, la firma in Questura, la limitazione alla circolazione.
D'altronde, lo spirito umanistico del filosofo Boezio, già nel VI secolo, affermava che il reo dovrebbe essere condotto davanti al giudice non da accusatori adirati ma, come ammalati che si portano dal medico, da persone piuttosto benevole e misericordiose, affinché possano, mediante il castigo, liberarsi dalla malattia della colpa.
Un sistema così congeniato mi appare molto più moderno e funzionale dell'attuale per una società, come la nostra, che ha appena imboccato la strada del del terzo millennio.
Che ne dite?

2 commenti:

Anonimo ha detto...

"pene come l'ergastolo, abbrutimento della società odierna, dovrebbero essere abolite"
caro Catullo non solo sei un'idealista, ma sei anche ingiusto;
ingiusto verso la vittima che ha subito un danno grave (punito appunto con l'ergastolo).
Per quanto mi riguarda sono d'accordo con i vecchi santi che auspicavano:
"Sant'Agostino e San Tommaso d'Aquino sostengono la liceità della pena di morte sulla base del concetto della conservazione del bene comune. L'argomentazione di Tommaso d'Aquino è la seguente: come è lecito, anzi doveroso, estirpare un membro malato per salvare tutto il corpo, così quando una persona è divenuta un pericolo per la comunità o è causa di corruzione degli altri, essa viene eliminata per garantire la salvezza della comunità (Summa Theologiae II-II, q. 29, artt. 37-42). Il santo sosteneva tuttavia che la pena andasse inflitta solo al colpevole di gravissimi delitti, mentre all'epoca veniva utilizzata con facilità e grande discrezionalità."
GENTE DEL TERZO MILLENNIO...MEDITATE..MEDITATE

Fredastir

Enzo Rotini ha detto...

Caro Fredastir,

per somma grazia ed esplicazione veterotestamentaria del concetto di giustizia-risanatrice, cito testuale il concetto biblico della Tsedaqah=rettitudine, quale significato occidentale di giustizia e pena, nella teologia dello Jahvista.
Lo Jahvista che fa uso all'inizio dei suoi scritti (Genesi) della denominazione divina di Jahvé, descrive, attraverso le antiche tradizioni orali, di come l'armonia originaria del Paradiso sia stata rotta, dopo la creazione dell'uomo, dalla sua disubbidienza nei confronti del Creatore. Già i primi capitoli della Genesi presentano l'uomo come trasgressore della Legge. Difatti, a seguito della sua condotta, in Adamo, suo modello e tipo, luomo esperimenta la sua esistenza successiva come contraddittoria, lacerata, a se stessa alienata. La sua originaria identità di grazia (immagine del Paradiso) è spezzata dal suo rifiuto. Questa è per lui la conoscenza peggiore. Di fronte al tribunale di Jahvé tuttavia, nella cacciata dal Paradiso, Adamo fa un'esperienza fondamentale: dopo tale censura della sua vita, di cui è responsabile, Dio non lo abbatte. Sebbene Jahvé annunci la morte, quale effetto della disubbidienza, il peccato originale non sfocia nella morte di Adamo. Questi prova il giudizio di Jahvé, ma tale giudizio non lo fa morire, non lo annienta! Anzi, è Jahvè che cerca Adamo nel giardino: "Adamo, dove sei? Non è il colpevole Adamo che si rivolge a Dio; egli piuttosto si nasconde. Dio deve cercare Adamo! Adamo non si nasconde solo dinnanzi a Dio, ma anche dinnanzi alla sua colpa: egli cerca di superarla facendola ricadere su Eva (e questa, a sua volta, sul serpente).
(Eugen Wiesnet - Criminologia - Giuffrè Editori - Milano 1987).
Ciò significa che Adamo ed eva mettono in pratica una difesa nei confronti della colpa!
E' quello che dovrebbe fare lo Stato e noi tutti nei confronti di chi ha sbagliato. Ti pare?