lunedì 24 dicembre 2007

Il calabrone, l'elicottero e gli aeronaviganti



(Quartine burlesche a rima baciata)


Il calabron l’aerodinamica non conosce
E malgrado il peso, si sostien senza closce;
Rotea, s’affatica e non consulta la check-list
Ignaro continua a volar senza lo specialist.


Demoni che controllano, smontano e puliscono
Alla sicurezza del pilota loro contribuiscono;
Veri maestri della portanza e della destrezza
Calibrano e dimano serraggi per la sicurezza.


Il pilota apprezza perché l’imperizia ripudia
Tanté pel governar l’elicottero, il manuale studia;
E quando l'impiego è maldestro e inusuale
Un avviso in cuffia lo richiama puntuale.


Corsi e manual fan tutti logorati,
Ma dalla rivalità gli spec son lecerati,
E mentre l’elicottero nell’aria s’è librato
Pensan se le carte hanno ben registrato.


E se la libellula d’equilibrarsi … smetterà
Al tecnico dispiaciuto un sol dubbio verrà:
Nonostante il pilota l’elicottero s'è involato
Mentre col dovere, io la forma ho salvato.


Si accerti pure il fatto! Mentre, io me ne fotto!

sabato 22 dicembre 2007

La luna


La Luna è l’unico satellite naturale della Terra.
Le fasi lunari descrivono il diverso aspetto che la Luna mostra durante il suo moto, causate dal suo diverso orientamento rispetto al Sole.
Sono rappresentate dalla parte del satellite terrestre illuminata dal Sole.Vi sono quattro posizioni fondamentali e quattro fasi intermedie: Luna nuova (o congiunzione o fase di novilunio); Luna crescente (gobba a Ponente); Primo quarto; Gibbosa crescente; Luna piena (o opposizione o fase di plenilunio); Gibbosa Calante; Ultimo quarto; Luna Calante (gobba a levante).
Il termine "quarto" si riferisce alla posizione della luna nell'orbita attorno alla terra, da tali due posizioni dalla terra è visibile mezzo emisfero. Con la Luna nuova, la Luna è interposta fra la Terra e il Sole: sorge al mattino e tramonta alla sera. Se si allinea con la Terra e il Sole si ha un' eclissi solare. Nelle quadrature o quarti, le linee congiungenti la Terra, la Luna e il Sole formano un angolo di 90°: al primo quarto sorge a mezzogiorno e tramonta a mezzanotte, all'ultimo quarto sorge a mezzanotte e tramonta a mezzogiorno. Con la luna piena la posizione della Terra è compresa tra Sole e Luna: sorge alla sera e tramonta al mattino. Se invece si allinea dietro l'ombra della Terra si ha un'eclissi lunare. Congiunzione ed opposizione vengono denominate "sizigie" (o "sigizie"). La Luna compie una rivoluzione attorno alla Terra in 27 giorni, 7 ore, 43 minuti e 11 secondi. Il mese lunare (ciclo completo di fasi) ha invece una durata di 29 giorni, 12 ore, 44 minuti e 3 secondi. La differenza è dovuta al fatto che nel frattempo sia la Terra che la Luna sono avanzate lungo l’orbita terrestre ed il loro allineamento col Sole è cambiato.
Ampio rilievo occupa la Luna nelle spiegazioni scientifiche, ma, anche nelle credenze popolari: La Luna e il ciclo mestruale femminile sono fortemente connessi poiché il corpo della donna è sensibile alle fasi lunari: la durata del ciclo sinodico della Luna, come detto, è di 29 giorni, dodici ore e 44 minuti e il ciclo della donna può variare rispetto a questo ed essere leggermente più corto o più lungo, corrispondendo così a fasi diverse della Luna. La maggior parte delle donne perciò interagisce con questo ciclo in due modi: le loro mestruazioni coincidono o sono molto vicine con la Luna piena oppure con la Luna nera; ovvero, quando la Luna rimane per due o tre giorni nella stessa costellazione del Sole e, di conseguenza, è piena, ma nel segno opposto. Questo avviene tutti i mesi e in questa fase la Luna si congiunge al Sole, celebrando il matrimonio simbolico tra maschile e femminile, tra l’archetipo della notte (la sensibilità) e quello della luce (la vitalità).
Parole come lunatico sono derivate dalla Luna a causa della credenza popolare che sia una causa di pazzia periodica. Per i pescatori bisogna pescare sempre nelle notti di Luna piena perché la Luna attira i pesci in superficie, mentre gli agricoltori sostengono che il mosto vada messo nelle botti in novilunio, per farlo diventare vino. Negli orti, poi, la Luna occupa un ruolo importantissimo: bisogna sempre seminare in luna crescente perché le piante crescano più velocemente. È tutt'ora diffusa anche la credenza dell'aumento delle nascite in fase di luna crescente. Nella mitologia medievale, la Luna piena occupa una posizione importante: i lupi mannari si trasformano alla luce della Luna e le streghe si riuniscono per le loro feste, solitamente, a maggio, durante la fase di Luna Piena.
La luna ha il suo influsso anche sulle maree. Queste ampie masse d'acqua (di oceani, mari e grandissimi laghi) che si innalzano (flusso, alta marea) e s’abbassano (riflusso, bassa marea) anche di 10-15 metri, dovuto principalmente a due fattori: all'attrazione gravitazionale esercitata dall'azione combinata Sole - Luna sulla Terra, ma con netta prevalenza della componente Luna a causa della sua minore distanza (legge di gravitazione universale di Newton); alla forza centrifuga, dovuta alla rotazione del sistema Terra - Luna intorno al baricentro. Quindi, l'alta marea si ha, contemporaneamente, al passaggio della Luna, sul meridiano opposto. Solitamente, le maree hanno una frequenza legata al passaggio della Luna e, dunque, di circa 12 ore. Fenomeni simili alle "onde statiche" (la marea può essere considerata una onda estesa, detta onda di marea, di lunghezza eguale alla semicirconferenza terrestre, a periodi di 12 h 25 min), fanno sì che in alcune zone costiere oceaniche non vi sia alcuna marea, come in alcuni mari dell'Europa settentrionale). Mentre, solitamente gli orari delle maree variano di giorno in giorno, come la variazione dell'orario della Luna. Esistono posti (per esempio nell’Oceano pacifico) nei quali le maree avvengono sempre negli stessi orari.

martedì 4 dicembre 2007

Lettera d'amore


Ispirandomi alla società che ci circonda, ho cercato di mettere, in un italiano più o meno comprensibile, alcune riflessioni che possono essere condivise da chi ama... la goliardia. Inoltre, se esistono, ancora, gli amanuensi, si può provare a scrivere una lettera d’amore, come questa, ad una ragazza da conquistare. Poi, se proprio non ci sta, invitatela a leggere la vostra poesia un rigo si e un rigo no, può darsi che cambi idea…

Signorina,
le scrivo con profondo ed immenso piacere per dirle della mia gioia nel cu -
ore, per la felicità di poterle mostrare e, solamente a lei, il grande e bel -
lo, pregevole afflato del mio premuroso amore, pegno del robusto, bana -
lissimo, stravagante, salottiero incontro con lei, quando dal suo cuore e dal se -
no, che ha detto voler,spontaneamente, aprire; perché mai prima si era sentita pu –
erpera nei confronti di un uomo tutto suo, da amare, follemente, come san ma -
ritana pudica, tanto da chiedermi di sublimarla con la poesia vibrante den -
samente, affinché rimanessero tracce invisibili, ma d’indelebile sapore dolcias -
tro di lei, furiere di godereccio edonismo. Raggiungemmo insieme, poi, la sua giar -
dinetta, promiscua e spaziosa, sublimando le estasianti passeggiate nella car -
rettiera, con frasi tipo: che bello! Vada più su, ancora! Entusiasta della sua fi -
gura, osservandola percepivo subliminali messaggi d’amore; quindi, tolta la to -
ga, ho provveduto a renderla felice indirizzando la conclusione poetica al suo di -
magrito viso e fu allora che la poesia salì d’intensità, guardandogli gli occhi, fin
dietro. Mi ha, semplicemente, detto: ancora, ancora! Sfinito, dopo averla rot -
eata attorno a me, guardandola negli occhi, l’ho osservata in una visione estasia -
ta, tutta; ho avuto un grande visione, che potrei racchiudere in una parola: ca -
ratteristica e rappresentativa espressione di un, vibrante, passionale, mistico, so -
gna; perché, giustamente, vuole, fino all’ultimo, quello che è suo diritto divino, tro -
vare l’amore giusto, l’uomo giusto, per vivere un’irrefrenabile amore come risa -
ia e risaiola. Elementi determinanti l’un l’altro, per la buona riuscita del menage.
E, quindi: ma va … dove ti porta il cuore!

domenica 2 dicembre 2007

Ritorno al futuro


C'era una volta il corteggiamento, arte ormai remota tra i giovani d'oggi. Non tanto tempo fa, era fatto di serenate al chiaro di luna, lettere d'amore, sguardi languidi, baciamano, lusinghe e mazzi di fiori. Oggi, secondo molte ragazze, i ragazzi sono frettolosi, troppo diretti e poco originali e, se il primo approccio non funziona nell'arco di 8-10 minuti, rinunciano. In questo tempo limite che i giovani dedicano all’approccio: si avvicinano, senza nessun gioco di sguardi o altro, propongono qualcosa di assolutamente banale, come bere qualcosa insieme e, se non gli si fa capire che hanno qualche possibilità, abbandonano. E non va meglio quando si passa ai preliminari, i maschietti giovani risultano essere impacciati, incapaci di baciare e se alle prese con un reggiseno vanno in crisi. Per lui, le ragazze non sanno mai cosa vogliono veramente, danno dei messaggi assolutamente contraddittori: ah! La superficialità, malattia dei giorni d’oggi. Cade, insomma, il duplice mito del macho italico e del perfetto Casanova. Difatti, il corteggiamento Casanoviano prevedeva che, per conquistare il cuore di una donna, l’impegno profuso durasse settimane, se non mesi. Altri tempi!
Non va molto meglio nemmeno sull’altro fronte. Le ragazze ormai non conoscono più le arti della seduzione: risultano aggressive, confondono la seduzione con la volgarità. A far crollare, poi, ogni possibilità di approccio è anche l’inesistente o, forse, nascosta femminilità. Ergo, gli uomini sono egoisti, poco fantasiosi, assolutamente incapaci di interpretare i desideri e le esigenze delle donne. Pertanto, gli approcci risultano sempre più difficili, nella società dell’apparire, fatta di continua ricerca di quello che, forse, non esiste, finché non si tranquillizza il mare, in tempesta, dentro di noi.Si auspica, quindi, un ritorno all'antico per gentleman che vogliano e/o sanno osare, attraverso l’essere e non l’apparire, come l’uso della fastidiosa e tediosa scrittura che, puntualmente, mette a nudo il nostro carattere e … il nostro condizionale. Insomma, ripartiamo con lettere d'amore e, poi, a seguire, tutto il resto… Ma, attenti, l'antica tecnica amanuense, a cui non siamo più abituati, è specchio della nostra personalità. Piccola, piccolissima bisogna fare attenzione. Grande e rotonda equivale a positività, energia; tradotto: la donna è solare e vitale, l'uomo è cupo e grigio.

venerdì 16 novembre 2007

Interrogativi


Essere democratici, cosa vuol dire?
Tutti continuano a ripeterci, da destra e da sinistra, che se non ci comportiamo in una certa maniera non siamo democratici. Ma, per democrazia cosa s’intende?
Io, se volessi l’immigrazione fatta di lavoratori onesti, non sarei democratico, perché lascerei entrare nel nostro Paese persone “diverse” da noi;
Io, se non volessi l’immigrazione fatta di lavoratori onesti , non sarei democratico, perché sarei un razzista;
Io, se non tollerassi l’immigrazione clandestina e delinquenziale, non sarei democratico, perché autorizzerei leggi più severe e repressive, non degne di un Paese democratico;
Io, se volessi una finanza etica e non creativa (senza scalata, cordate, Consob, Garante, borsa, azioni, obbligazioni, fondi, derivati), non sarei democratico, perché escluderei buona parte della società dal vivere alle spalle di onesti lavoratori e produttori di beni;
Io, se non volessi il crocifisso a scuola (così afferma la nostra Costituzione, che riconosce diverse confessioni e non solo quella Cattolica) non sarei democratico, con l’aggravante di non essere, neanche, cattolico, perché acconsento ad una reciprocità che non esiste negli altri paesi, da cui provengono molti immigrati;
Io, se volessi il crocifisso a scuola (tenendo fede alla tradizione e non alla Costituzione), non sarei democratico, perché escluderei gli altri, essendo il nostro, oramai, un Paese a forte immigrazione;
Io, se volessi una maggiore tutela e sicurezza, pubblica e privata, non sarei democratico perché chiederei alla Polizia, attraverso limitazioni di libertà, maggior tutela;
Io, se non volessi una maggiore sicurezza pubblica e privata, non sarei democratico, perché autorizzerei l’immigrazione clandestina e delinquenza;
Io, se volessi la libertà e l’autodeterminazione dei popoli, non sarei democratico, perché ci sono stati canaglia (…);
Io, se non volessi la libertà e l’autodeterminazione dei popoli, non sarei democratico, perché sarei per le dittature;
Io, se fossi a favore della droga e dell’alcool, non sarei democratico, perché acconsento alla autodistruzione dei giovani e, non solo, e al controllo sociale delle classi meno abbienti;
Io, se non fossi a favore della droga e dell’alcool, non sarei democratico, perché autorizzerei la repressione indiscriminata;
Io, se volessi essere me stesso, non sarei democratico, perché non sarei quello che vuole la società;
Io, se non volessi essere me stesso, non sarei democratico, perché sarei quello che la società vuole, ma non quello che io sono.
Ergo! Destra, sinistra, comunisti, fascisti, cattolici, una massa di “fetienti”.
Io sono una canna al vento!

giovedì 4 ottobre 2007

Momenti


Ci sono momenti, ritenuti troppo importanti, della propria vita che, normalmente, si riservano a sè stessi. In questi momenti si pensa di esistere da soli e il pensiero astratto e generico porta a sintesi qualunquo-realiste, del tipo: me ne frego della politica, me ne frego del precariato, me ne frego del capo Ufficio, me ne frego della gente che muore ogni giorno, me ne frego dell'America, della Russia, della Cina, me ne frego della guerra civile, me ne frego dell'imperialismo, me ne frego del comunismo, me ne frego delle dittature, me ne frego di Marx, di Lenin, di Mussolini,me ne frego degli operai, dei pensionati, me ne frego delle banche e dell'alta finanza. Non sopporto il salotto di Vespa, non sopporto la tivvù che addormenta le coscienze, non sopporto il giornalismo allineato e fuori dalla notizia... Questi momenti, riservati solo a sè stessi, appartengono a ognuno di noi, dove l'ego prevale su tutto e la parola d'ordine diventa: me ne frego, me ne frego, me ne frego. Bene! Quei momenti, però, se durano un tempo, relativamente, lungo e si vede solo la propria vita, vi dico che in quei momenti è ora di ributtarsi nella realtà della società civile, della famiglia, dell'amicizia, dell'amore. Coraggio.

martedì 25 settembre 2007

Quartine burlesche a rima baciata (Dedicate ad una coppia di amici nubendi)

Uomo serio, posato e disponibile
Parliam dell’unico, solo e inconfondibile.
Vien da Bergamo Miki, ma qui si è fermato
Per dar lustro a questo abitato.

Mari così bella, sensibile e pudìca
Chi la conosce le diventa subito amica,
ma lei per l’animal ha cuor oggi più di ieri
e se qualcun li maltratta chiama subito i Carabinieri.

La loro casa è bella, spaziosa e accogliente
Con Matilda, gatti e can nell’ambiente;
tutti sul divan a guardar la tele, siedon di sera
mentre lui senza posto bestemmia e si dispera.

Oggi si son sposati, ma sol in comun
Poiché lui ne ha già avuta un,
ma Amor è cieco e il dardo ha scoccato
e, a questa coppia, il cuor ha infiammato.

Ogni capriccio gli dovrà assecondar
Se con lei d’accordo vorrà andar.
Gli chiederà presto un brillante
E lui pensa, costa meno l’amante!

Qui la cosa si inasprisce
E lo scribo è meglio che zittisce
E da voi si vuol congedar
Con un saluto poco singolar.

LUNGA VITA ALGLI SPOSIIIIII

lunedì 2 luglio 2007

L'Italia di un ingenuo sognatore








E' diventato uno sport nazionale, preferito dalla maggior parte degli italiani, criticare la politica, in genere, e i suoi costi. Bene! D'accordo! Provo, però, a seguito di un "sogno", anzichè criticare e votare sempre alla stessa maniera, a stilare una sorta di...decalogo su come ho sognato l'Italia e come vorrei la politica nazionale e quella locale.
1. Giustizia: conversione degli "Istituti di pena" in "Istituti per la riabilitazione sociale", orientando gli "ospiti", secondo le proprie inclinazioni, al lavoro, sia esso manuale, intellettuale, artistico, professionale. Via l'ergastolo! Pena massima 20 anni da scontare tutta negli istituti per la riabilitazione. Per reati minori la pena deve essere sociale, attraverso lavori socialmente utili ed educativi, quale: pulire la strade, vigilare e ripulire i boschi, aiutare i poveri, gli anziani, ecc...
2. Istruzione e ricerca: inserire, oltre le materie basi, sin dalle elementari, prima sotto forma di gioco, poi in modo scientifico, l'insegnamento di materie, come: Costituzione italiana, educazione stradale, educazione sessuale, educazione civica. Lo sport, a carico delle istituzioni, deve essere prerogativa di tutti i ragazzi, fino a 16 anni (da una spesa iniziale maggiore per lo Stato ad un beneficio ancora migliore per le persone, chiuse in appartamenti-prigioni e per il S.S.N.). Le scuole superiori devono avere il biennio uguale e formativo per tutti, dopo si segue l'indirizzo prescelto e le proprie inclinazioni. La ricerca deve essere incoraggiata su tutti i fronti senza limiti. L'Italia deve tornare a primeggiare nelle cose che sa fare meglio e non andare sempre a rimorchio (un pò di orgoglio nazionale, perbacco!).
3. Interni e difesa: un unico ministero, denominato degli interni, che abbia al suo seno un Dipartimento per la difesa nazionale, da attivare solamente in caso di violazioni dei confini nazionali. Le missioni all'estero, di compentenza del Dipartimento, devono essere esclusivamente di pace, come recita la nostra Costituzione. Agli interni devono essere riunite le tre forze di polizia nazionali, fermo restando le specifiche di ogni Corpo (a limite anche il colore della divisa). A livello locale la municipalità deve essere organizzata con una polizia locale che funge, in caso di necessità, anche da guardia nazionale e protezione civile alle dipendenze degli interni.
4. Lavoro: il lavoro, come dice la Costituzione, deve essere incoraggiato e tutelato sotto ogni forma, la flessibilità deve avere il solo scopo di accrescere e migliorare la propria personalità, non quello di precarizzare o sfruttare il lavoratore. Non si entra nel mondo del lavoro se non prima di aver raggiunto un livello di cultura da scuola superiore (almeno il diploma). La cultura rende liberi.
5. Comunicazioni ed energia: tutte le vie, le reti, i canali di comunicazione e qualsiasi forma di sfruttamento energetico devono essere di proprietà statale. Lo Stato rilascia concessioni per lo sfruttamento e l'esercizio delle stesse.
6. Agricoltura e industria: sfruttamento sostenibile del suolo attraverso una agricoltura biologica e di qualità, l'industria deve riconvertirsi per l'80% (basta frigoriferi, televisori e diavolerie varie da sostituire ogni due anni, perché obsoleti) e puntare sull' alta qualità dei prodotti, realizzati senza nessun tipo di inquinamento o sfruttamento del suolo, sottosuolo, cielo e mare. La geografia italiana ci informa che il nostro è un Paese a vocazione agricola (ergo, agricoltura e allevamenti di qualità), turistica (8000 km di costa, docet!) e con l'80% dei beni culturali ed architettonici mondiali a disposizione. Finiamola con le cazzate della potenza industriale e un sonoro "NO" agli industriali e finanzieri senza etica e morale di questo Paese).
7. Economia: la socializzazione dei mezzi di produzione è fallita, il capitalismo becero è fallito, il capitalismo dal volto umano, predicato anche da Giovanni Paolo II, non è mai decollato. Vedo, come unica strada percorribile, l'azionariato d'impresa, realizzato esclusivamente tra imprenditori seri (via le leggi che generano i furbetti del quartierino. Ricucci è solo un martire rispetto a tutti gli altri), quadri, impiegati e operai, affinché l'interesse di uno sia l'interesse di tutti. La moneta deve essere di proprietà del popolo (v. link Giacinto Auriti), sulle banconote non può esserci il simbolo della BCE e nessuna firma e la BCE non può stampare i soldi e prestarli al Governo al valore nominale senza garantire nulla in cambio (es. l'oro). La moneta deve essere uno strumento di misura di beni e servizi prodotti dal Paese, deve essere emessa dalla B.I., per conto della BCE, senza indebitarci, perché è di proprietà nostra e deve essere firmata dal Capo dello Stato che ci rappresenta.
Liberiamoci da tutte le leggi e le regole dell'economia così come sono oggi. Sono rappresentate molto bene da una frase del banchiere Jacob Rothschild: "Pochissimi capiranno il sistema e quelli che lo capiranno saranno occupati a far soldi. Il pubblico, probabilmente, non capirà che è contro il suo interesse".



martedì 10 aprile 2007

Gli U.S.A. e le Termopili



Ho visto il film e, a parte qualche annotazione finale, preferisco riportare la storia della battaglia delle Termopili che ebbe luogo nel 480 a.C. tra una alleanza di città-stato greche e i persiani.
Serse I, re della Persia per anni si era preparato per riprendere la guerra contro la Grecia iniziata da suo padre Dario I. Nel 484 a.C. l'esercito e le navi di Serse arrivarono in Asia Minore, costruirono un ponte di barche sull'Ellesponto presso Abydos, attraversandolo. Le polis greche riuscirono ad accordarsi per affrontare il pericolo e formarono una alleanza guidata da Sparta, comandata dal re Leonida, e si prepararono a bloccare l'avanzata dell'esercito persiano nel nord della Grecia nello stretto passo delle Termopili. Il passo è fiancheggiato da un lato da montagne scoscese dall'altro dal mare ed era quindi adatto alla difesa.
All'iniziale distaccamento spartano di Leonida e dalla sua guardia del corpo composta di 300 opliti (soldati equipaggiati con armi pesanti: scudo di bronzo, spada corta in ferro e lancia lunga), 2.800 peloponnesiaci e circa 900 iloti, si aggiunsero i rinforzi provenienti da altre città tra i quali 700 da Tespia, 400 da Tebe, 1.000 focesi e inoltre da Tegea, Mantinea, Orcomeno, Corinto, Fliunte, Micene e dalle altre città dell’Arcadia e della Beozia per un totale di 3900 opliti seguiti dai rispettivi scudieri che fungevano da fanteria leggera. Ai soldati fu detto che loro erano solo l'avanguardia dell'esercito greco che si sarebbe unito a loro al più presto. Le forze greche, per un totale di soli settemila uomini, inizarono la battaglia nell'agosto del 480 a.C., Leonida mirava a tenere il passo il più possibile per dare modo al resto delle città greche di radunare le loro truppe e navi. Serse non credeva che una forza così piccola sarebbe stata in grado di opporglisi, e diede ai greci cinque giorni per ritirarsi. Allo stesso momento anche la sua flotta non riusciva ad avanzare bloccata dalle veloci navi ateniesi al cui comando si trovava Temistocle. Quando alcuni disertori dell’esercito persiano (per lo più greci arruolati con la forza) avevano dichiarato che i Medi erano così tanti da oscurare il sole con le loro frecce, gli spartani risposero che almeno avrebbero combattuto all’ombra. Passati questi cinque giorni, visto che non mostrarono intenzione di ritirarsi, Serse inviò le proprie truppe nel passo, ma ogni ondata fu respinta. I persiani attaccavano con frecce e corte lance e non riuscivano a rompere le formazioni degli opliti greci armati, come detto, di lunghe lance. La prima ondata ad arrivare sui greci fu quella dei medi comandata da Tigranes, che assaltarono con entusiasmo ma furono respinti con gravi perdite. La seconda ondata fu dei soldati provenienti da Susa equipaggiati con un grande scudo ma anche loro fallirono. Tentarono anche di aggirare il nemico dal lato della costa, ma molti caddero dalle scogliere. Il giorno successivo Serse schierò in campo le sue truppe d’èlite, i diecimila Immortali, comandati da Idarne che non ebbero maggior fortuna. I greci combattevano a turno concedendosi un po' di riposo da quel massacro, si accasciavano a terra sudati e sporchi di sangue per poi rialzarsi e tornare a combattere. Dopo, il secondo giorno di combattimenti, un greco dal nome Efialte (nei film americani i traditori sono sempre informi) disertò e tradì i greci informando Serse dell'esistenza di un nuovo percorso diverso per superare il passo delle Termopili. La strada era difesa dai focesi che erano stati distaccati su quel passo due giorni prima quando i greci vennero a conoscenza di questo passaggio alternativo, essi però non si aspettavano un attacco dei persiani. I focesi offrirono una debole resistenza prima di fuggire consentendo ai persiani di avanzare incontrastati. Leonida capì che ogni resistenza sarebbe stata inutile. L'11 agosto allontanò tutti tranne 300 spartani, assieme al contingente tespiano guidato da Demofilo che rimase per aiutare gli spartani nel tentativo suicida di ritardare l'avanzata dei persiani. Inoltre Leonida contava su un contigente di tebani, ma dopo alcuni combattimenti essi tradirono in favore dei persiani. Quando, i persiani chiesero di consegnare le armi, Leonida gridò che sarebbero dovuti venirle a prendere. Nonostante più di ventimila morti tra i persiani compresi due fratelli di Serse (Habrocomes e Hyperanthes), alla fine Leonida venne ucciso, per quattro volte il suo corpo fu catturato dai persiani e per quattro volte gli spartani lo recuperarono. Stremati i greci si rifugiarono sul colle che sovrastava le Termopili per proteggere il corpo del loro re caduto. Serse ordinò che fossero finiti con gli archi per non perdere altri uomini.
Oggi sul luogo della battaglia esiste un monumento, su di esso vi è riportata una frase attribuita a Simonide riportata da Erodoto: “O viandante, annuncia agli spartani che qui noi giacciamo per aver obbedito alle loro parole”.
Alcune annotazioni intuitive. Poca live action, molta computer graphic e sond digitalizzato d'effetto, tanto da potersi immaginare un battaglia alla play station.
Il messaggio è sempre lo stesso, oggi ancora più attuale: gli americani rinnovano l'invito, anche ludicamente, al popolo dei propri, titubanti partner europei ad allearsi e/o rafforzare l'alleanza contro il nemico comune per conbattere fino alla fine, come loro, con valore e sacrificio contro i detrattori della democrazia e della libertà in Iraq, Afghanistan e ovunque serva.

sabato 7 aprile 2007

E' Pasqua!


La domenica della Pasqua cristiana è mobile, viene fissata di anno in anno nella domenica successiva al primo plenilunio successivo all' Equinozio di Primavera, il 21 marzo, dal IV secolo. Nei secoli precedenti potevano esistere diversi usi locali sulla data da seguire, tutti comunque legati al calcolo della Pasqua ebraica. In particolare alcune chiese dell'Asia seguivano la tradizione di celebrare la pasqua nello stesso giorno degli ebrei, senza tenere conto della domenica, e furono pertanto detti quartodecimani. Ciò diede luogo ad una disputa, detta controversia quartodecimana, fra la chiesa di Roma e le chiese asiatiche.
La chiesa cattolica sceglie la data della Pasqua (in base al Calendario gregoriano, introdotto da Papa XIII, il 1582) tra il 22 marzo ed il 25 aprile. Infatti, se il 21 marzo c’è luna piena ed è sabato, sarà Pasqua il giorno dopo, il 22 marzo; se invece è domenica, il giorno di Pasqua sarà la domenica successiva, il 28 marzo. Invece, se il plenilunio avviene il 20 marzo, quello successivo si verificherà il 18 aprile, e se questo giorno fosse per caso una domenica occorrerebbe aspettare la domenica successiva, cioè il 25 aprile.
La chiesa ortodossa, invece, segue il calendario giuliano, promosso da Giulio Cesare, nel 46 a. C., e basato sul ciclo delle stagioni, quindi la data della pasqua può variare dal 4 aprile all’ 8 maggio e la differenza con la Pasqua cattolica è di 13 giorni.
La Pasqua è preceduta da un periodo preparatorio di astinenza e digiuno, della durata di quaranta giorni, chiamato Quaresima che inizia il Mercoledì delle ceneri; l'ultima settimana del tempo di quaresima é detto Settimana santa, periodo ricco di celebrazioni e dedicato al silenzio ed alla contemplazione. Comincia con la Domenica delle Palme che ricorda l'ingresso di Gesù in Gerusalemme; qui fu accolto trionfalmente dalla folla che agitava in segno di saluto delle foglie di palme. Per questo motivo nelle chiese cattoliche, durante questa domenica, vengono distribuiti ai fedeli dei rametti di olivo benedetto (segno della passione di Cristo).
Gli ultimi giorni della Settimana Santa segnano la fine del tempo di Quaresima e l'inizio del Triduo Pasquale. La Messa del giovedì mattina è la Messa del Crisma, in cui il Vescovo consacra gli olii santi (Crisma, Olio dei catecumeni) ed Olio degli infermi), degli olii che serviranno durante tutto il corso dell'anno rispettivamente per celebrare le cresime e i battesimi, ordinare i sacerdoti e celebrare il sacramento dell'Unzione degli infermi. L'Ora Nona del Giovedì Santo conclude il tempo di Quaresima ed il Triduo Pasquale inizia la sera del giovedì, con la Messa in Coena Domini; questa fa memoriale dell'Ultima Cena consumata da Gesù nella sua vita terrena, nella quale furono istituiti l'Eucarestia e il ministero sacerdotale e fu consegnato ai discepoli il Comandamento dell'Amore. Durante questa Santa Messa si svolge la tradizionale lavanda dei piedi e vengono 'legate' le campane (le campane non possono suonare dal Gloria della messa del giovedì sera al Gloria della Veglia di Pasqua). In questo giorno è inoltre tradizione, non certificata dalla dottrina, compiere il suggestivo giro delle sette chiese, andando ad adorare i sepolcri allestiti in sette chiese vicine. Il venerdì santo non si celebra l'Eucarestia: la liturgia è incentrata sull'adorazione della Croce e la Via Crucis. Il sabato santo, unico giorno dell'anno in cui non si amministra la Comunione salvo come viatico, è incentrato sull'attesa della solenne Veglia di Pasqua che si celebra fra il tramonto del sabato e l'alba del Nuovo Giorno. Inoltre il Sabato Santo è l'unico giorno dell'anno senza alcuna liturgia, ed è perciò detto "aliturgico". Non soltanto non può essere somministrata la Comunione, ma non si celebra nemmeno la Messa e, di solito, nelle chiese i tabernacoli sono spalancati e privi del Santissimo. Che viene conservato in sacrestia. Gli altari sono spogli, senza fiori e paramenti e un senso di lutto pervade tutta l'area del tempio.
La Pasqua cristiana è in stretta relazione con quella ebraica, in cui si celebra la liberazione degli Ebrei dall'Egitto ad opera di Mosè. La parola Pasqua infatti significa passaggio: Pesach appare nella Torah (Antico testamento). Dio annuncia al popolo di Israele, schiavo in Egitto, che lui lo libererà e ordina al popolo d’Israele di marcare gli stipiti delle loro porte con sangue d’agnello. Per gli Ebrei è il passaggio dalla schiavitù alla libertà mentre per i cristiani dalla morte fisica e spirituale alla nuova Vita Eterna. I due principali comandamenti legati alla festa di Pesach sono: cibarsi di matzah (pane non lievitato) e la proibizione di nutrirsi di qualsiasi cibo contentente lievito durante l'intero periodo della festività. In epoca antica ve ne era un terzo: l'offerta dell'agnello nella sera del giorno 14 del mese ebraico di Nissan ed il cibarsi quella stessa notte del sacrificio di Pesach. I comandamenti sono stati trasformati in una cena particolare chiamata seder celebrata nelle prime due sere della festa, in Israele solo il primo giorno.

lunedì 19 marzo 2007

Sogno e realtà


Dopo una scarpinata con i miei cari e vecchi scarponi, mi ero seduto sulla cima di un colle e rimiravo il panorama, davanti e sottostante. Bellissimo! Verdi colline, in lontananza, montagne a tinte ipsometriche chiaro-scuro e cappello bianco. Sotto, un fiume di acque impetuose, combatteva la sua battaglia, attraverso vortici, mulinelli, deviazioni repentine, ma senza mai uscire dal suo greto, protetto dalle sponde. Vicino a me, seduta, una donna angelica. Subito ho pensato di essere nell’al di là e di essere stato preso per mano, dall’angelica fanciulla, per essere accompagnato e introdotto al cospetto del Divino, nel mondo immateriale. Intanto, io dall’alto vedevo me stesso e Beatrice, ascoltavo i nostri dialoghi, ero divertito! Le parole erano chiare: sei pronto? Il grande evento ti attende. Ti dirò una cosa importante, presta molta attenzione. Intanto, una musica soave riecheggiava nella vallata. Certo…, ma cosa dobbiamo fare? Dove si va? Fremevo, dall’alto osservavo me stesso in trepidazione e piacevole attesa. Poi, ad un tratto, un forte rumore, tutto svanì, mi svegliai dalla “pennichella” pomeridiana, indispettito dall’aspirapolvere, guidato con destrezza dalla padrona di casa. Mia moglie mi stava invitando, già da un po’, a lasciare la “postazione”. Mi resi conto che era un sogno! Mi stropicciai gli occhi, mi riassettai, mi alzai e mi sistemai per tornare a lavoro. Ma che sogno! dentro, fuori dal sogno, cosciente di dormire mentre parlavo e sognavo paesaggi meravigliosi.
Credo proprio che sognare, anche ad occhi aperti, sia uno dei misteri della vita che ci aiuti a portare avanti la nostra esistenza verso l’esito predestinato.

venerdì 9 marzo 2007

II. L'evoluzione ... femminile


A seguito delle nobili conquiste, la donna, oggi, dopo tante vicissitudini, ha preteso il suo giusto ruolo nella società maschilista, post-moderna, affermandosi nel mondo lavorativo con pari dignità e diritti (logico, dato il loro senso pratico delle cose). In termini biologici, invece, acclarato che l'apparato sessuale femminile ha lo scopo di procreare e i suoi fattori sessuali secondari servono ad attrarre un partner e ad allevare figli; la donna, forse involontariamente, si è posta in competizione con l’uomo, confondendo il ruolo che la natura gli ha imposto, col diritto positivo. Giusta la lotta per i diritti, in campo lavorativo, ingiusta e fuorviante la rivendicazione paritaria, in natura, per le forti intrusioni nel ruolo predeterminato, per ognuno dei sessi. Ruolo che non ammette una parità in nessuna specie del regno animale, al quale apparteniamo. Il risultato? Pessimo! Visto che, l’altra metà del cielo, divenendo sempre più aggressiva e meno propensa alla costituzione e realizzazione di una famiglia, rivolge la sua attenzione, sempre più, a persone dello stesso sesso, o affronta viaggi di turismo sessuale, verso paesi “maschi”, contemplando la sera della vita, sempre più sola. L’uomo, a sua volta, spaventato da cotanta aggressività, si ritira, sempre più, dalle sue funzioni, prediligendo, anche lui, persone dello stesso sesso, o donne straniere, diverse dal quadro geografico occidentale e più propense alla formazione di una famiglia.
Lo scenario futuro, che si prospetta, vede una società post-moderna, fatta, da una parte, da matrimoni internazionali, interculturali e interreligiosi e una maggiore attenzione alle persone dello stesso sesso; dall’altra, la formazione di nuove agguerrite guerriere greche.
Amazzoni, si! Ma, senza mutilazione della mammella destra, però!

mercoledì 7 marzo 2007

Auguri donne!



Le origini della Giornata Internazionale della Donna, sono stranamente controverse. Anche i libri di storia forniscono versioni diverse: c’è chi dice che la Giornata delle Donne sia stata istituita dall’Assemblea dell’ONU per ricordare le 129 operaie, in gran parte italiane e di origini ebraiche, morte nell’incendio della Cotton di New York, (o di Chicago?) l’otto marzo del 1908. E chi scrive che fu istituita a Copenaghen, il 29 agosto del 1910, nel corso della conferenza Internazionale delle Donne Socialiste (tra l’altro la presunta sede è stata abbattuta in questi giorni), in ricordo del grande sciopero delle lavoratrici tessili di New York, al quale parteciparono 30 mila donne, l’otto marzo del 1848. Altre fonti affermano che fu Rosa Luxemburg (donna socialista polacca, di famiglia ebraica, in polemica con i riformisti dell’epoca, perché, in alternativa alla riforma sociale, auspicava la dittatura del proletariato, ma di classe e non di una piccola minoranza di dirigenti, in nome della classe) a proclamare la Giornata Internazionale di Lotta. In ogni caso, questa Giornata non è una festa. È una giornata di lotta, di riflessione, di provocazione. Mi è sempre dispiaciuto vedere distrutti tanti alberi di mimosa e non ho mai capito il motivo per il quale bisogna comprare o regalare il mazzetto giallo, per ricordare agli "Uomini di Potere", i problemi delle donne. Basterebbe questo singolo dato per dimostrare, da solo, che l’Otto Marzo non è una festa. Non capisco, neanche, perché molte donne colgono questo giorno, come se fosse un carnevale, per liberare le aggressività accumulate a casa: col marito, coi figli, al lavoro: coi colleghi, col datore e si “perdono”, nella serata dell’Otto Marzo, in squallide uscite aventi per tema: dozzinali banchetti e spettacoli di spogliarello maschile. E, pensare che, soltanto poco tempo fa, da un rapporto di Amnesty International, abbiamo saputo che un miliardo di donne nel mondo vengono ogni anno picchiate, stuprate, mutilate, assassinate da fidanzati, mariti, amici, familiari.
L'Otto Marzo è una festa? Meditiamo sul dato e, comunque, auguri a tutte!

lunedì 5 marzo 2007

I. L'evoluzione ... femminile




Donna deriva dal latino domna, forma sincopata di domina, cioè padrona. Fino alla fine del Duecento il termine utilizzato per dire "donna" era "femmina"; ma, poi, in Toscana prese piede l'uso di "donna", e da lì questa parola si diffuse in tutta Italia. Le donne sono state spesso discriminate in molte culture del mondo che riconoscevano loro capacità e ruoli limitati alla procreazione e alla cura della prole e della famiglia.
In un primo momento nelle civiltà mesopotamiche (Egitto, Persia, Assiria, Babilonia), la donna aveva una posizione molto elevata all'interno della società. In questi luoghi è stato presente anche il matriarcato; poi, con l'ascesa delle monarchie militari, persero di prestigio e si iniziarono a formare i ginecei, dai quali le donne non potevano uscire e dove non potevano vedere nessun uomo ad eccezione degli eunuchi e del proprio marito.
Nella Grecia antica, la donna ricca era tenuta in casa, mentre le donne povere erano costrette a lavorare e quindi, contraddittoriamente, avevano una certa libertà. Le donne non avevano diritti politici, non potevano, quindi, votare o essere elette membri dell'assemblea, durante l'età delle Poleis e non erano oggetto di legislazione giuridica. Una donna non era colpevole, ad esempio, del reato di adulterio, a differenza dell'uomo, perché ritenuta "oggetto del reato". La vita domestica era ben diversa da quella di oggi. La donna passava molto tempo a contatto con la madre del marito, nel gineceo, quindi quest'ultima aveva un ruolo primario sulla sua educazione. In Grecia esistevano, inoltre, le mogli che si dedicavano esclusivamente all'educazione dei figli legittimi, le concubine che avevano rapporti sessuali stabili con l'uomo e la compagna, per il piacere. Vi erano le prostitute che svolgeva il loro esercizio nelle strade o nelle case di tolleranza. Occupavano l'ultimo "gradino" nella scala sociale.
Nella Roma antica, invece, la donna fu considerata quasi pari all'uomo, ad esempio, entrambi i genitori avevano pari obblighi nei confronti dei figli e la donna poteva accompagnare il marito ad una festa, a patto che mangiasse seduta e non sdraiata come era norma per gli uomini. Non mancarono, tuttavia, le limitazioni poste dal diritto romano alla capacità giuridica delle donne: esse non avevano il ius suffragii e il ius honorum, ciò che impediva loro di accedere alle magistrature pubbliche. Nel campo del diritto privato era, inoltre, negata alle donne la patria potestas, prerogativa esclusiva del pater familias, e conseguentemente la capacità di adottare figli.
Il Cristianesimo, successivamente, impose la sottomissione della donna all'uomo, ma la considerò importante in quanto doveva crescere spiritualmente i figli. Con l'arrivo dei barbari Franchi e Longobardi in Italia, la condizione della donna peggiorò. Essa fu, infatti, un oggetto nelle mani del padre, finché questi non decideva di venderla ad un uomo. Tuttavia, dopo l’anno Mille, con l'avvento del “dolce stil novo”, la donna viene “angelicata” e considerata un tramite tra Dio e l'uomo (Beatrice, docet!). Durante l'inquisizione alcune donne vennero ritenute rappresentanti del Diavolo sulla Terra (le cosiddette streghe), capaci di trarre in inganno l'uomo spingendolo al peccato in qualsiasi modo.
Divenendo, una delle più belle affermazioni della letteratura moderna che si lega, in qualche modo, alla letteratura “angelicata” de dolce stil novo, è forse quella di Domenique Lapierre, ne La città della gioia: «Le donne sono l'altra metà del cielo». Muovendo da questa affermazione, le donne, dei giorni nostri, con le manifestazioni femministe, hanno reclamato ed ottenuto un progressivo cambiamento verso la parità dei sessi. Il primo traguardo importante è stato il conseguimento del diritto di voto per il quale si batterono le suffragette. In seguito ai conflitti mondiali, le donne, che avevano rimpiazzato, i molti uomini mandati al fronte, sul lavoro, ottennero maggiori ruoli in società e possibilità lavorative fuori dalla famiglia. Altri traguardi recenti e importanti sono stati: la possibilità del divorzio, la legalizzazione dell'aborto e l'indipendenza economica.

Segue...

sabato 24 febbraio 2007

Il Carnevale non finisce mai!


Le prime manifestazioni che ci ricordano il carnevale nel mondo risalgono a 4000 anni fa. Gli Egizi, fin dai tempi delle dinastie faraoniche, furono i primi ad ufficializzare una tradizione carnevalesca, con feste, riti e pubbliche manifestazioni in onore della dea Iside, che presiedeva alla fertilità dei campi e simboleggiava il perpetuo rinnovarsi della vita.
Il carnevale greco veniva celebrato, invece, in varie riprese, tra l'inverno e la primavera, con riti e sagre in onore di Bacco, dio del vino e della vita. Le "Grandi dionisiache" dal tono particolarmente orgiastico, si tenevano tra il 15 marzo ed il 15 aprile, mese di Elafebolione, in Atene, e segnava il punto culminante del lungo periodo carnevalesco.
I "Saturnali" furono, per i Romani, la prima espressione del carnevale e gradualmente, perdendo l'iniziale significato rituale, assunsero la chiara impostazione delle feste popolari, i cui relitti sopravvivono nelle tradizioni di varie zone della nostra penisola, soprattutto nell'Italia del Sud e nelle Isole. Le feste in onore di Saturno, dio dell'età dell'oro, iniziavano il 17 dicembre e si prolungavano dapprima per tre giorni e poi per un periodo più che raddoppiato corrispondente all'epoca dell'annuale ciclo delle nostre feste natalizie e per il loro contenuto al nostro carnevale.
Caratteristica preminente dei "Saturnali" era la sospensione delle leggi e delle norme che regolavano allora i rapporti umani e sociali. Donde l'erompere della gioia quasi vendicativa della plebe e degli schiavi e la condiscendenza del patriziato, che si concedevano un periodo di frenetiche vacanze di costumi e di lascività di ogni genere. Erano giorni di esplosione di rabbia e di frenesia incontrollata, di un'esuberanza festaiola che spesso degenerava in atti di intemperanza e di dissolutezza.
La personificazione del carnevale in un essere umano o in un fantoccio, risale, invece, al Medioevo. Ne furono responsabili i popoli barbari che, calando nei paesi mediterranei, determinarono una sovrapposizione, o meglio una simbiosi, di usi e di costumi, assorbiti quindi dalla tradizione locale, che ne ha tramandati alcuni fino ai giorni nostri, mentre altri si sono fatalmente perduti durante il lungo e agitato andare del tempo.
La chiesa cattolica e le autorità ecclesiastiche, pur tollerando le manifestazioni carnevalesche come motivo di svago e di spensieratezza, di cui la gente, credente o non, teneva in debito conto, considerava e considera il carnevale come momento essenziale di riflessione e di riconciliazione con Dio. Si celebravano, come tuttora avviene, le Sante Quarantore, o carnevale sacro, che si concludevano con qualche ora di anticipo la sera dell'ultima domenica di carnevale.
Il carnevale politico, invece, ha colto in pieno il momento orgiastico dionisiaco per proseguire, ininterrottamente, i riti e le sagre durante tutto l’anno, attraverso la rappresentazione teatrale tragi-comica: “Noi facciamo meglio di voi! Quando eravamo al governo noi le cose andavano meglio! Questo Governo non è in grado di governare, ecc..." Ma, ad un tratto: Tac! Il giochino si rompe, crisi di governo e tutti in fibrillazione, con la faccia di circostanza, nei salotti buoni della tivvù, a prevedere gli scenari futuri.
Da sx, diavolo proprio adesso! Mastella-Rutelli-Ruini, però, sono contenti, per i non DICO; Prodi-D’Alema-Parisi sono contenti, perché a Vicenza, se li rivogliono al Governo, la base si farà e la Tav, pure e in Afghanistan, vedremo!. La sx radicale, illusa ancora che stando al Governo possa piegare i poteri forti, riconferma la fiducia (La gazzella che sbranerà il leone, mah…!).
Da dx, diavolo proprio adesso! Facciamo chiedere le elezioni anticipate solo a chi non conta quasi nulla, Noi, cauti, anche perché se si rivota vinciamo sicuramente e dopo? Chi lo Governo sto Paese, sull’orlo di un collasso? Rovinato, chiaramente, da otto mesi di governo irresponsabile di sinistra. Il quinquennio precedente è stato aureo, se qualcosa non si è fatto la colpa è della sinistra. Mutismo e rassegnazione e avanti col sostegno di tutti per fare, ancora una volta, le cose che vogliono in pochi, fermo restando il non fare le cose che interessano a tutti.
Il carnevale cattolico ha termine il giorno precedente il mercoledì delle Ceneri, ovvero 40 giorni prima di Pasqua, quando, per la chiesa cattolica ha inizio la Quaresima.
Il carnevale politico non prevede scadenze, ma semplicemente piccole correzioni di rotta. Allora? ... alla prossima rappresentazione.

martedì 13 febbraio 2007

San Valentino - il punto



Valentino da Interamna (Interamna Nahartium, attualeTerni), fu vescovo e martire cristiano. È venerato come santo dalla Chiesa cattolica e successivamente dalla Chiesa evangelica: è considerato il patrono dell'amore universale e della città di Terni. Le sue reliquie, le uniche e autentiche riconosciute dal Vaticano, possono essere individuate in due regioni Italiane, in Sardegna presso la chiesa di Ozieri e in Umbria, suo paese d'origine e presso la Basilica di Terni.
Fu convertito al cristianesimo ed ordinato vescovo da San Feliciano di Foligno nel 197. Conosciuto e festeggiato in tutto il mondo, San Valentino patì il martirio anche per aver unito in matrimonio, primo nella storia, una giovane cristiana, Serapia, gravemente malata, e il centurione romano Sabino; l'unione era ostacolata dai genitori di lei ma, chiamato dal centurione al capezzale della giovane morente, Valentino battezzò dapprima il giovane soldato e quindi lo unì in matrimonio alla sua amata, prima che entrambi cadessero in un sonno profondo.
Valentino si trovava a Roma nell'anno 270 per predicare il Vangelo e convertire i pagani. Invitato dall'imperatore Claudio II il gotico a sospendere il rito della benedizione degli sposi e a convertirsi al paganesimo, rifiutò di abiurare la propria fede tentando anzi di convertire l'imperatore al cristianesimo. L'imperatore ebbe rispetto di Valentino e lo graziò affidandolo, in una sorta di residenza coatta, ad una nobile famiglia. Una leggenda narra che Valentino, "affidato" avrebbe compiuto il miracolo di ridare la vista alla figlia cieca del suo carceriere, Asterius: Valentino, teneramente legato alla giovane, la salutò con un messaggio d'addio che si chiudeva con le parole: dal vostro Valentino ....
Valentino venne arrestato una seconda volta sotto Aureliano, succeduto a Claudio II il Gotico. L'impero proseguiva nelle sue persecuzioni verso i cristiani e i vertici della Chiesa di Roma e, poiché la popolarità di Valentino stava crescendo, i soldati romani lo catturarono e lo portarono fuori città lungo la via Flaminia per flagellarlo, temendo che la popolazione potesse insorgere in sua difesa. Questo secondo arresto gli fu fatale: morì decapitato nel 270 o forse nel 273 (la data non è certa). Le sue spoglie furono sepolte sulla collina di Terni dove sorge la basilica in cui sono attualmente custodite, racchiuse in una teca; accanto, una statua d'argento reca la scritta: San Valentino patrono dell'amore. La figura di Valentino come santo patrono degli innamorati viene tuttavia messa in discussione da taluni che preferiscono ricondurla a quella di un altro sacerdote romano, anch'egli decapitato pressappoco negli stessi anni.
La festa di San Valentino venne istituita un paio di secoli dopo la morte di Valentino, nel 496, quando Papa Gelasio I decise di contrapporre alla festività pagana della fertilità (i lupercalia dedicati al dio Luperco) sostituendola con una ispirata al messaggio d'amore diffuso dall'opera di San Valentino. Ricorre annualmente, il 14 febbraio.
E, allora, Champagne e coccole, nella magica notte dedicata agli innamorati.

La dialettica


A ognuno di noi è capitato, almeno una volta, di questionare. Bene! Vediamo di riconoscerci in alcuni principi filosofici dettati, in materia, da Socrate a Schopenhauer. Innanzitutto, bisogna considerare ciò che è essenziale in una disputa. Sovente, accade che la persona con cui questioniamo presenti una tesi e la ritiene unica e immodificabile. Di fronte a questa situazione, noi dobbiamo semplicemente confutare la tesi esposta, a buona o cattiva ragione. Due sono le possibilità di confutazioni. I modi: a) ad rem, cioè mostrare che la tesi non concorda con la natura delle cose, con la verità oggettiva assoluta; b) ad hominem, cioè mostrare che la tesi non concorda con altre affermazioni o ammissioni dell'avversario; ovvero, con la verità soggettiva relativa. Le vie: a) confutazione diretta, quando si attacca, invece, la tesi nei suoi fondamenti, mostrando che non è vera, o mostrando che i fondamenti dell'affermazione sono falsi (nego majorem; minorem); oppure, ammettiamo i fondamenti, ma mostriamo che l'affermazione non ne consegue (nego consequentiam), cioè attacchiamo la conseguenza; b) confutazione indiretta, quando si attacca la tesi nelle sue conseguenze mostrando che non può essere vera. Per la confutazione indiretta si può ricorrere o all'apagoge (figura retorica che tende a giustificare le falsità di un'affermazione sottilineando l'assurdità delle conseguenze applicative), o all'istanza (premessa che smentisce un'altra). Con l'apagoge, quindi, noi assumiamo la tesi dell'avversario come vera: poi mostriamo che cosa ne consegue se, unita a qualche altra proposizione riconosciuta come vera, l'adoperassimo come premessa per un sillogismo da cui discende una conclusione palesemente falsa, in quanto contraddittoria della natura delle cose o delle altre affermazioni fatte dell'avversario. Infatti, da premesse vere possono conseguire solo proposizioni vere, mentre da premesse false non sempre conseguono conclusioni false. Mentre, l'istanza confuta la tesi generale mediante indicazione diretta di casi compresi nella sua enunciazione, per i quali però essa non vale. La tesi generale deve perciò essere falsa.

Da ultimo, ricordiamoci che in ogni disputa bisogna essere d'accordo almeno sulla base di partenza, cioè su cosa si prende come principio per giudicare la questione. Contra negatem principia non est disputandum. Non si disputi con uno che nega i principi di partenza e buona ... disputa!

venerdì 9 febbraio 2007

IV. La politica di ieri e ... di oggi


Il Dittatore (lat. dictator), era una figura caratteristica dell'assetto della costituzione della Repubblica Romana, si ritiene, comunemente, che la dittatura fosse una magistratura straordinaria. Convincimento che si fonda sulla distinzione fra magistrature ordinarie e magistrature straordinarie, estranea, però, alle fonti. Si dovrebbe, anzi, dubitare che la dittatura possa qualificarsi tout-court come una magistratura, perché difetterebbe comunque di due delle caratteristiche essenziali delle magistrature dell'età repubblicana, e cioè della collegialità e della elettività, di cui si è detto. Il Dittatore, infatti, non aveva alcun collega e nominava come proprio subalterno il magister equitum (capo della cavalleria). Il Dittatore era fornito di imperium maius (maggiore), cioè della pienezza dei poteri civili e militari per cui poteva imporre il suo volere a tutti gli altri magistrati o sospenderli dalle loro funzioni. Inoltre, il Dittatore non veniva eletto dalle assemblee popolari, come tutti gli altri magistrati; ma, veniva dictus, cioè nominato, da uno dei consoli, di concerto con l'altro console e con il Senato, seguendo un rituale che prevedeva la nomina di notte, in silenzio, rivolto verso oriente e in territorio romano (Liv. 8.23.13: oriens, nocte, silentio). È probabile che il Dittatore sia l'antico capo della fanteria, il magister populi; questo spiegherebbe l'antico divieto, per lui, di montare a cavallo. Il Dittatore cessava dalla propria funzione una volta scaduto l'anno di carica del Console che lo aveva nominato. Il Dittatore, come detto, era dotato di summum imperium e cumulava in sé il potere dei due consoli; per questa ragione era accompagnato da ventiquattro littori e, non essendo soggetto al limite della provocatio ad populum, i suoi littori giravano anche all'interno della città di Roma con le scuri inserite nei fasci.
Alla dittatura si faceva ricorso solamente in casi straordinari, quando un pericolo esterno o una difficile situazione interna minavano la sicurezza dello Stato. Nel caso, il Dittatore durava in carica fino a quando non avesse svolto i compiti per i quali era stato nominato e, comunque, non più di sei mesi. La carica poteva avere come scopo sedare una rivolta (dictator seditionis sedandae causa), affrontare pericoli esterni e/o governare lo Stato in situazioni di difficoltà (dictator rei gerundae causa). Dittatori nominati, occasionalmente, per motivi contingenti, avevano il compito di:
- comitiorum habendorum causa (convocare i comitia per le elezioni);
- clavi figendi causa (piantare il clavus annalis, il chiodo annuale, nella parete del tempio di
Giove, utile ai fini del computo degli anni);
- feriarum constituendarum causa (determinare le festività);
- ludorum faciendorum causa (officiare i giochi pubblici);
- quaestionibus exercendis (tenere determinate processi);
- legendo senatui (nominare nuovi senatori ai posti che si erano resi vacanti nel Senato).
Il Dittatore più celebre fu Quinto Fabio Massimo detto il Temporeggiatore perché con la sua abile tattica risollevò le sorti di Roma, prostrata per la sconfitta subita al Trasimeno (217 a.C.) per opera di Annibale. Dopo di allora questa forma di dittatura cadde in disuso. In seguito alle lotte tra Gaio Mario e Lucio Cornelio Silla, questi marciò su Roma e si fece eleggere dai comizi, su proposta dell'interrex Valerio, dictator rei pubblicae constituendae causa et legibus scribundis. Questa nuova dittatura non corrispondeva a quella tradizionale, perché non aveva alcun limite temporale e non era basata su una dictio. Silla tenne questa carica per anni prima di abdicare volontariamente e ritirarsi dalla vita pubblica. La dittatura poteva facilmente degenerare in tirannia quando non si fosse rispettato il limite dei sei mesi posto alla sua durata, il che avvenne sotto Silla e sotto Cesare. Difatti, Giulio Cesare ripristinò la dittatura rei gerendae causa, ma la modificò facendola durare un anno completo. Fu nominato dictator rei gerendae causa per un anno completo nel 46 a. C. e poi fu successivamente designato per nove volte consecutive a questa carica annuale, diventando, di fatto, dittatore per dieci anni. L'anno successivo questi precedenti furono scartati ed il Senato votò per nominarlo dictator perpetuus (dittatore perpetuo). Dopo l'assassinio di Cesare alle Idi di marzo, il suo collega consolare, Marco Antonio fece approvare una lex Antonia che abolì la dittatura e la espunse dalla costituzione repubblicana. La carica fu successivamente offerta ad Augusto, che prudentemente rifiutò ed optò invece per la potestà tribunizia e per l'imperium consolare senza detenere nessuna altra carica che quella di pontifex maximus e di princeps senatus.
Per questi precedenti il titolo di Dittatore, che pure nel Risorgimento fu assunto nobilmente da Garibaldi e da altri capi politici, ha acquistato nella storia recentissima il significato di tiranno e di despota ed è stato applicato particolarmente per designare i capi dei regimi fascista e nazista. Ma, aborrendo quest’ultimo significato dato alla dittatura, i nostri politici potrebbero rispolverarne l’esatto significato e funzione che aveva nell’epoca repubblicana di Roma e prevederne l’applicazione al nostro ordinamento, in chiave staordinaria, affinché nei momenti storici di particolare congiuntura, come oggi, si possa, con un mandato specifico e a scadenza, dare ampi poteri ad una sola persona per risolvere problemi annosi non risolvibili diversamente, quali: riforma, attraverso l’abrogazione, l’accorpamento, la riorganizzazione per oggetto, delle leggi; riforma della scuola; riforma della giustizia; riforma della sanità, riforma del lavoro, riforma dello stato sociale, riforma dell’economia, di cui parlerò nei prossimi post.

mercoledì 7 febbraio 2007

III: La politica di ieri e ... di oggi


Tribuni militum: nella tradizionale organizzazione sociale romana, il capo dei soldati scelto da ognuna delle tre tribù romane era chiamato tribunus clerum o comandante dei cavalieri. Dal 444 al 367 a.C., insigniti dei poteri consolari, questi vennero frequentemente eletti al posto dei regolari magistrati o consoli. Durante l'età repubblicana, a Roma, i sei tribuni militum erano gli ufficiali anziani delle legioni romane. Dopo il 362 a.C. essi vennero eletti annualmente dal popolo nei comitia tributa o assemblee delle tribù. I tribuni divennero in seguito 24 e altri ancora potevano essere nominati direttamente dal console. Verso la fine del periodo repubblicano, tuttavia, il comando sul campo venne affidato a un ufficiale qualificato e ai tribuni vennero attribuite solo cariche onorifiche. L'elezione al tribunato militare era un mezzo per acquisire più importanti cariche pubbliche.
Tribuni plebis: nei primi anni della repubblica tutti i requisiti e le prerogative di governo erano appannaggio dei patrizi, mentre la plebe, che costituiva gran parte della popolazione, sosteneva il peso della tassazione e del servizio militare. Con la rivolta del 494 a.C., la plebe ottenne il diritto di eleggere i propri magistrati, designati alla difesa dei suoi interessi. Inizialmente due, i tribuni della plebe divennero poi dieci (450 a.C.). Essi godevano di tre importanti privilegi: il diritto di difendere i cittadini da ogni accusa; il diritto di veto su ogni legge proposta dal senato romano; la personale inviolabilità per la durata della carica. Ben presto i tribuni garantirono diritti politici a tutta la popolazione. Gli stessi imperatori romani (ad esempio Augusto) assunsero il titolo di tribuno per attribuirsi un'immagine popolare e tutti i diritti costituzionali legati al tribunato.
La carica, così esautorata, perse col tempo importanza, continuando tuttavia a sussistere sino alla dissoluzione dell'impero romano d'Occidente nel V secolo d.C.
Censore: nella Roma antica, era il magistrato incaricato di censire la popolazione. La carica fu istituita verso la metà del V secolo a.C. in conseguenza della riforma centuriata, che si basava sulla suddivisione della cittadinanza in classi stabilite sul censo. In origine solo patrizi, i censori venivano eletti nei comizi centuriati, e scelti tra gli ex consoli. Eletti ogni cinque anni in numero di due, tenevano la carica per diciotto mesi, il tempo necessario per portare a termine il censimento. Il momento della loro elezione era segnato dalla cerimonia della lustratio, la purificazione della città, da cui il termine lustrum (che designa un periodo di cinque anni). Il potere dei censori comunque limitato dalla collegialità e dalla possibilità di procedere a condanne solo previa autorizzazione dei consoli crebbe col tempo, nella misura in cui aumentavano i loro incarichi: revisione delle liste dei senatori (lectio senatus), cura dei costumi dei cittadini (cura morum), manutenzione degli edifici pubblici, controllo degli appalti. Decaduta alla fine della repubblica, la magistratura venne assunta più volte dagli imperatori, spesso in funzione antisenatoria.
Aediles: nella Roma antica, erano i magistrati che sovrintendevano ai lavori pubblici, dotati anche di alcuni poteri di polizia. Agli edili spettava il compito di sorvegliare la manutenzione e i restauri di templi, edifici pubblici, strade, fogne e acquedotti, di controllare il funzionamento dei mercati pubblici e dei valori di pesi e misure; infine, la direzione dei giochi pubblici e il mantenimento dell'ordine pubblico. La carica, istituita nel 494 a.C., era conferita a due membri della plebe, che venivano eletti annualmente. Nel 367 a.C. furono aggiunti altri due edili, gli aediles curules, che fino al II secolo a.C. erano alternativamente scelti, ogni anno, tra patrizi e plebei. Giulio Cesare, egli stesso inizialmente edile curule, istituì due ulteriori edili di rango plebeo (44 a.C.), i ceriales, che sorvegliavano l'approvvigionamento di grano dell'Urbe.Tradizionalmente, l'edilità costituiva la seconda magistratura, che seguiva la questura nella carriera di un uomo politico romano. Nel corso degli ultimi anni della repubblica la carica di edile fu ambita da molti uomini politici, in quanto offriva la possibilità di ottenere un notevole seguito popolare. Sotto l'impero la carica perse d'importanza, tanto che nel 235 d.C. non esisteva più.
Pretore: in origine il titolo era applicato ai consoli, ma quando (367 a.C.) le leggi Licinie Sestie stabilirono che l'autorità suprema dello stato competeva ai due consoli (uno dei quali plebeo), venne creata la pretura come carica separata per le cause civili e inizialmente aperta solo ai patrizi. Normalmente, la durata della carica era annuale e l'età richiesta trent'anni. Dal 337 a.C. poterono accedervi anche i plebei e la pretura divenne il primo gradino per il consolato. Il pretore urbano, che era in realtà un terzo console ed era accompagnato da sei littori, presiedeva tutte le controversie tra i cittadini di Roma, mentre il pretore peregrinus fu incaricato, dal 242 a.C., di condurre i processi nei quali uno o entrambi i litiganti fossero stranieri. Altri pretori vennero creati per l'amministrazione delle nuove province, finché il loro numero salì a sedici. Tra tutti, il pretore urbano era il più importante e, se i consoli erano lontani da Roma, aveva il potere di convocare le riunioni del senato. Magistrati di rango pretorio presiedevano i tribunali speciali istituiti a Roma per trattare crimini come l'estorsione, la corruzione, il tradimento e l'omicidio. I pretori, come i consoli, venivano eletti dal popolo romano riunito nei comizi e detenevano il potere militare. Allo scadere del loro mandato venivano nominati propretori o governatori militari. Con la riorganizzazione delle province, durante l'impero, tutti i governatori delle province imperiali, essendo sotto l'autorità proconsolare dell'imperatore, furono designati come propretori, fossero essi di rango consolare o di rango retorio.
Oggi, come si evince, siamo alquanto lontano dai sistemi aurei dell’epoca repubblicana di Roma del cursus honorus. Non esiste una “carriera” politica/pubblica normata. Il politico, senza nessuna referenza particolare, è mosso, esclusivamente, da interessi personali che possono essere economici o giudiziari. Le qualità morali e professionali che il sistema gli richiede, per riuscire nel suo intento, sono sempre le stesse: capacità, esclusivamente, oratorie e cinismo politico. Non sono richieste altre capacità professionali specifiche e, tanto meno, valori retorici, ma pur sempre pregnanti, come il senso dello Stato, della Patria, della solidarietà, della dignità, della libertà dell’uomo e della famiglia, anche allargata. Al parco buoi viene chiesto, esclusivamente, l’autorizzazione a perseguire i propri intendimenti, attraverso il suffragio universale (facilmente orientabile dai media e dal Vaticano), “concedendo”, in contropartita, la spada di Damocle del debito pubblico, della sicurezza pubblica, dello sviluppo, della crescita, della disgregazione della famiglia, delle imposte, delle tasse, dei contributi, ecc…. Tutte necessità sovrastrutturali dettate, non dalla loro bramosia di potere, ma dell’Europa e del mondo globalizzato. Sarebbe ora di dire basta!

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lunedì 5 febbraio 2007

II. La politica di ieri e ... di oggi




Il cittadino romano che voleva percorrere la carriera politica doveva seguire un determinato ordine chiamato cursus honorus: dopo aver servito dieci anni nell'esercito poteva presentarsi candidato alle cariche nelle seguenti successioni: questura, edilità, curule, pretura, consolato; e poiché fra le varie cariche dovevano intercorrere due anni di intervallo, non si poteva essere console prima dei trentasette anni. Silla, nella sua riforma, spostò a trent'anni l'inizio del cursus in modo che il consolato non poteva essere occupato prima dei quarantatré anni. Il tribunato e la censura non facevano parte del cursus honorum e perciò non erano computati nell'età richiesta per occupare le altre cariche. Oltre alla carriera senatoria un giovane poteva aspirare a carriere più modeste che conducevano a magistrature di minor conto come quella dei decemviri stlitibus iudicandis, specie di giudici, dei tresviri monetales, che si occupavano del conio delle monete e ad altre ancora tutte elette dai comizi tributi.
Cursus Honorum: la carriera politica di un magistrato non poteva essere fermata deponendolo dalla carica prima che scadesse il tempo stabilito per la sua durata e, sebbene potesse essere processato per comportamento illecito, ciò in pratica non accadeva mai. Uscito però di carica, il magistrato tornava ad essere un cittadino qualunque e poteva quindi essere chiamato in tribunale a rendere conto di quanto aveva operato durante la carica. Ogni magistrato, pertanto, era ritenuto responsabile degli atti compiuti nella carica. Le magistrature si distinguevano, abitualmente, in:Magistrature con imperium e senza imperium, in base alla quale, colui che ne era investito, avesse o meno la facoltà di imporre l'esecuzione di ordini sia nel campo civile che in quello militare. Erano, pertanto, magistrati con imperium il console, il pretore, il dittatore, il comandante della cavalleria (magister equitem). Erano magistrati senza imperium il censore, il tribuno, l'edile, il questore. Si distinguevano, ancora, in magistrature maggiori e minori secondo le quali il magistrato aveva la facoltà di trarre gli auspicia maiora o minora: si chiamavano maiora gli auspici che si prendevano osservando il volo degli uccelli in un tratto delimitato di cielo (templum), minora gli altri. Gli auspicia maiora erano propri delle cariche con imperium e potevano essere tratti ovunque, gli auspicia minora spettavano alle altre cariche e si potevano trarre solo a Roma. I magistrati censori, pur appartenendo la loro carica a una magistratura senza imperium, avevano diritto agli auspicia maioria. Il diritto degli auspici non riguardava solo la religione, ma in modo particolare anche la politica perché una irregolarità commessa in tale materia poteva comportare la sospensione o l'annullamento dell'azione del magistrato.
Curuli e non curuli: secondo le quali il magistrato poteva sedere o meno sulla sella curulis, poltrona intarsiata di avorio, che ricordava il currus o carro reale di cui al tempo della monarchia facevano uso i re. I magistrati non curuli sedevano su un semplice sgabello (subsellium). Erano magistrati curuli quelli forniti di imperium e con diritto degli auspicia maiora, non curuli gli altri. I magistrati curuli portavano nei giorni comuni una toga orlata da una striscia di porpora (toga praetexta) che era indossata anche dai bambini, mentre nei giorni festivi indossavano una toga tutta di porpora; gli altri magistrati non portavano nessun distintivo particolare. Infine, le magistrature si distinguevano in straordinarie e ordinarie. Erano magistrati straordinari il dittatore con il maestro di cavalleria, ordinari tutti gli altri. I consoli, i pretori e i dittatori in quanto occupavano cariche con imperium si facevano precedere da littori portanti fasci di verghe con la scure, quali simboli del potere; i consoli erano preceduti da dodici littori, i pretori da due in Roma e da sei fuori; i dittatori da ventiquattro.
Consolato: il consolato era la più alta carica, della repubblica e costituiva la meta suprema della carriera politica di un cittadino romano (cuirite). Uno degli onori più ambiti che essa comportava era quello di dare il proprio nome all'anno (eponimia). I romani, infatti, pur contando gli anni della loro storia dalla formazione di Roma preferivano indicare la data dei singoli avvenimenti col nome dei cittadini che in quell'anno rivestivano la carica di consoli. Ma a parte l'onore dell'eponimia, la carica di console nell'antica Roma comportava contemporaneamente I poteri propri di un capo di stato e di un capo di governo, poteri paragonabili a quelli che nella nostra epoca ha il capo di una repubblica presidenziale, con la differenza, però, che i poteri del console erano limitati alla durata di un anno e dovevano essere condivisi con un collega essendo l'annualità e la collegialità, come abbiamo visto, una caratteristica generale delle magistrature romane; non ripresa da nessuna democrazia attuale.
Proconsole: il magistrato al quale, dopo aver rivestito la carica di console, veniva prorogato l'incarico per il governo o il comando militare di una provincia. Tale proroga (prorogatio imperii), dapprima annuale, divenne di durata più ampia e in seguito a tempo indeterminato; normalmente ai proconsoli venivano concesse due tra le più importanti province dell'impero. Il proconsolato costituì così uno degli strumenti più determinanti nel processo di affermazione del potere personale in età tardo-repubblicana, di cui si servirono personaggi come Pompeo, Cesare e Ottaviano. Oltre che dagli ex consoli, il proconsolato venne rivestito anche dagli ex pretori, con poteri analoghi nelle province a quelli degli ex consoli. Con l'impero, nella suddivisione amministrativa tra province imperiali e province senatorie, ai proconsoli furono attribuite queste ultime.
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venerdì 2 febbraio 2007

I. La politica di ieri e ... di oggi



La Repubblica Romana (Res Publica Romana) fu quello Stato formato dalla città di Roma e dai suoi territori di conquista, nel periodo compreso tra il 509 a.C. ed il 27 a.C., quando la sua forma di governo era una Repubblica oligarchica.
Le magistrature del periodo repubblicano, ancor più di quelle dell’Impero, si distinguevano radicalmente da quelle degli stati moderni, sia per le loro caratteristiche generali che per la loro classificazione e suddivisione; ma, per certi aspetti, sarebbero da seguire, imitare, ripristinare. Le cariche dell’epoca repubblicana erano:
Elettive: a Roma erano elettive non solo le cariche direttive e rappresentative, cioè il consolato e il tribunato, ma anche quelle di carattere giudiziario e amministrativo (pretura, questura, censura) per le quali oggi sono richiesti titoli di studio e speciali corsi, tendenti, attraverso i media, a far apparire l’individuo, più che a sancire le sue capacità professionali.I magistrati così eletti avevano alle loro dipendenze degli impiegati che potevano essere schiavi o liberti con mansioni esecutive. Questi impiegati, con l'espandersi dello Stato romano finirono per costruire una numerosa burocrazia simile a quella che oggi “cura” la Pubblica Amministrazione. Oggi, l’universalità del voto riempie di significato la vuota parola “democrazia”, facendo eleggere mediatici e inconsistenti affabulatori, indipendentemente dalle loro capacità.
Annuali: l'annualità delle cariche derivava dal timore che la gestione di una carica, protraendosi oltre un anno, potesse indurre chi l'occupava a crearsi, come oggi si direbbe, una situazione di potere, tale da costituire un pericolo per la libertà degli altri cittadini. Naturalmente la limitazione della carica ad un anno poteva portare di conseguenza che un magistrato non potesse condurre a termine un'opera per la quale egli era particolarmente adatto: a tale inconveniente si poneva talvolta rimedio col concedere al console e al pretore di continuare le sue funzioni, anche dopo deposta la carica, con la qualifica di proconsole o propretore. Oggi, abbiamo creato un’infinità di Authority e di Commissari straordinari, ma i problemi rimangono sul tappeto e le casse dello Stato si assottigliano.
Collegiali: la collegialità, cioè il dover gestire una carica non da solo, ma insieme con uno o più colleghi, era un'altra limitazione del potere di un magistrato, derivante anch'essa dalla preoccupazione che chi governava da solo, senza controllo, potesse abusare della carica a danno dei singoli cittadini. Connesso con la collegialità era il diritto di veto, anch’esso diretto a limitare il potere dei pubblici magistrati. Infatti, quando un magistrato non approvava l'azione del suo collega poteva fermarne l'esecuzione opponendo il suo. Questo, poteva causare la paralisi di ogni attività. Per rimediare a tale inconveniente, i magistrati o comandavano a turno (un mese l'uno, un mese l'altro), oppure si ripartivano i compiti da eseguire in modo che nessuno fosse di ostacolo all'altro.Il diritto di veto poteva essere esercitato anche da un magistrato inferiore per impedire che il magistrato superiore riunisse i comizi, mediante l'obnuntiatio, cioè annunziando che gli auspici non erano favorevoli, oppure dai tribuni della plebe contro un console in difesa di un plebeo: in questo ultimo caso si chiamava intercessione (intercessio). Oggi, la collegialità e il diritto di veto sono rimasti, paralizzando, però, l’attività dei governi, a meno che non si scelga la strada, come si è scelta, di fare le leggi che aggrada all’opposizione, rinviando alle calende greche i veri problemi del Paese reale, deludendo le aspettative dei sostenitori e generando, come conseguenza, la disaffezione alla politica.Gratuite: le cariche pubbliche erano chiamate comunemente onori (honores), e la legge non prevedeva compensi per coloro che le ricoprivano. Il cittadino doveva aspirare alla carica in sé e contentarsi del prestigio che gliene sarebbe derivato, senza alcun profitto materiale. La cosa tuttavia non era priva di inconvenienti sia perché colui che occupava una carica senza alcun compenso poteva più facilmente cedere alla tentazione di profittare del denaro pubblico, sia perché la carriera politica, in tal modo, era accessibile ordinariamente solo alle persone benestanti che potevano dedicarsi alla gestione delle cariche senza danno per la loro situazione economica. Oggi, in Italia le cariche elettive comportano generalmente un'identità più o meno rilevante e la Costituzione consente a tutti i cittadini che ne abbiano i requisiti, di potersi dedicare all'adempimento dei “doveri” che una carica pubblica comporta. In pratica, però, la politica attuale è auto referenziale (un es.: art. 84 Cost.) e i doveri costituzionali sono, normalmente, intesi come diritti, compreso quello della lauta retribuzione, dissestante delle casse dello Stato, per il nobile principio del “non essere distolto” da preoccupazioni economiche, durante l’esercizio del mandato.
Ergo, per rimanere nell’esempio, nessun cittadino, diverso da un uomo politico, che abbia superato 50 anni e che goda dei diritti civili e politici, è stato mai eletto Presidente; nessun elettore/eleggibile, è stato mai eletto Senatore o Deputato, se non per volontà delle segreterie di partito. Pertanto, ritengo definibile, la nostra, come la platonica società chiusa, mirante, cioè, a preservare all’infinito un ordine considerato perfetto, che include ogni aspetto dell’esistenza umana.
Platone sosteneva che le forme di Stato sono fondamentalmente oligarchiche. L’istituzione non esiste senza l’uomo, e la qualità di un governo dipende dalla qualità degli uomini che lo compongono, molto più che dai formalismi istituzionali. Diceva, si può pensare di affrontare il tema della ricerca del miglior governo, individuando un metodo che porti i migliori a governare. E’questa la tesi di Platone, difatti, la società ateniese era ripartita per censo, ed i pieni diritti di eleggibilità spettavano solo ai più ricchi; la maggioranza della popolazione non aveva neppure la cittadinanza, trattandosi di schiavi o di stranieri residenti. Ed era, stranamente, il popolo ateniese che seguiva le tendenze aristocratiche di Platone, rabboniti dai suoi discorsi. Oggi, in chiave moderna, accadono le stesse cose per autoreferenzialità della politica e disaffezione alla stessa.
Karl Popper sosteneva, invece, a giusta ragione, nella sua società aperta (vagamente assomigliabile alla democrazia), che non si potrà mai fare in modo che siano i migliori a governare, quindi occorre costruire un sistema che semplicemente limiti il potere dei governanti, evitando che possano approfittare troppo del ruolo, dando per assodato che il tipico uomo di governo sia mediocre ed incline a fare i propri interessi anziché quelli dei cittadini. La libertà individuale diviene, pertanto, il punto cruciale, perché, appunto, lasciando libera l’iniziativa dell’individuo si ottiene quella dinamica sociale e culturale che meglio consente lo sviluppo dell’umanità nel suo insieme.
Ancora, J. S. Mill: ”Non è difficile dimostrare che la migliore forma di governo è idealmente quella in cui la sovranità, vale a dire il supremo potere di controllo in ultima istanza, risiede nella comunità nel suo insieme, in cui ogni cittadino non solo ha una voce nell’esercizio della sovranità, ma è chiamato, almeno occasionalmente, a svolgere una parte attiva nel governo, grazie all’esercizio di qualche funzione pubblica, locale o generale”.
La ragione vuole che si limiti sempre più il potere dei governanti attraverso la generalizzazione dell’intervento diretto del cittadino nelle scelte e nel controllo della res pubblica.
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sabato 27 gennaio 2007

Fiordaliso


Il fiordaliso è un fiore antichissimo, il suo nome deriva dal francese "fleur de lis", ovvero: fior di giglio.
Tempo fa era usuale ammirare in un campo di grano tutte le tinte del blu, condensate in un solo fiore: il fiordaliso. I suoi petali di un azzurro particolare, vivo, delicato, lo facevano apparire di uno splendore unico. La natura, con la sua tavolozza di colori, aveva voluto comporre un insieme variegato di tinte ugualmente distribuite: dalla corolla bianca o tendente al rosa, ad una scala di colori dal blu brillante all'azzurro indaco, inframmezzato da venature argentee, composto da petali dal contorno frastagliato, con all'interno altri fiorellini di color porpora.
Che peccato non vederli più! Purtroppo, oggi nelle nostre messi sembra irrimediabilmente scomparso. I diserbanti selettivi hanno destinato all'estinzione questo "fiore delle messi".
Il suo nome scientifico è Centaurea. La Centaurea cyanus (fiordaliso comune) è la più usuale. La tradizione vuole, che a questo fiore, si riferiscano molte leggende: la più antica esprime l'amore che la dea Flora (dea della fioritura dei cereali, alberi e vigneti. Col tempo venne intesa, anche, come dea della primavera (Botticelli)), innamorata di Cyanus, abbia voluto che i fiori prendessero il nome del suo amato, avendolo trovato morto, in un campo pieno di fiordalisi. Il nome Centaurea, invece, deriva dal centauro Chirone (nella mitologia greca, metà uomo e metà cavallo con una elevata bontà d'animo che lo differenziava dagli altri centauri), che, ferito ad un piede, da una freccia avvelenata e attirato tra le braccia di una ninfea, fosse stato da lei trasformato in fiordaliso. Un'altra versione narra che il centauro ferito si curasse con il succo tratto dal fiore.
In Oriente, se gli innamorati regalano all'amata un fioraliso è perché vogliono esprimerle la speranza di ottenere felicità da lei. Rappresenta, infatti, la felicità nel linguaggio dei fiori ed è probabile che un riferimento tanto ambito gli derivi dal soprannome, spesso usato nei secoli scorsi, di "erba degli incantesimi". C'é chi, ispirato dai petali leggeri, gli ha attribuito il significato di leggerezza, dolcezza, purezza di sentimenti, primo amore...

lunedì 22 gennaio 2007

Elogio del sigaro


Condivido la "passione" e non certo il vizio del fumo, nel rispetto assoluto degli altri.

Il piacere che procura un buon Toscano, dopo un pranzo luculliano, è indescrivibile. Ma, non solo, il piacere è determinato, anche, dal momento, dal luogo e dalla compagnia con cui si condivide la passione, senza rinunciare, peraltro, alla gestualità che accompagna il momento. Azzarderei che il piacere aumenta man, mano che gli ... anta avanzano. Difatti, anni fa avevo provato a fumarlo; ma, avevo rinunciato, oggi con grande consapevolezza lo fumo e ne traggo un piacere infinito.
Naturalmente, come ogni passione, bisogna coltivarla e alimentarla, scoprendone giorno dopo giorno i suoi segreti. Tra i segreti scoperti, parlandone con gli altri o da solo, in contemplazione, durante il "rito", vi è quello che permette di evitare fastidiose riaccensioni o lunghe inspirazioni, con il massimo sforzo e il minimo apporto di piacere, curarando la questione ab origine. Difatti, il tabaccaio dovrebbe conservare le scatole di sigari controllate nella temperatura e nell' umidità. Questo, purtroppo, non accade quasi mai. Pertanto, è auspicabile conservarli, dopo l'acquisto, almeno in scatole di legno inodori; evitando luoghi particolarmente umidi, come cantine o cucine, che rendono molli, al tatto, i sigari, col rischio che s'impregnino, anche, di odori incontrollati, come salami, prosciutti, formaggi, ecc...; o luoghi troppo asciutti che ne seccherebbero l'involucro, rendendo il sigaro fragilissimo e, quindi, soggetto a facili rotture. L'esame obiettivo al sigaro, quindi, è sempre consigliabile per accertarne l'elasticità, alla pressione manuale, esercitata tra l'indice e il pollice. Anche l'accensione ha una sua importanza e la migliore, al di là della praticità, è data dai fiammiferi di legno; ma, dopo che hanno evaporato lo zolfo dell'accensione. Avviata la combustione, se il tiraggio è buono ed abbiamo fatto una buona accensione, il sigaro si consumerà lentamente e presenterà il bulbo del fuoco a cono. Mentre, se l'accensione non è avvenuta a regola d'arte, il bulbo del fuoco si presenterà a imbuto rovesciato. A questo punto bisogna intervenire subito correggendo l'accensione. Ancora, se la cattiva combustione rimane ci dobbiamo rassegnare, forse, ad una sigaro con punte troppe strette, rottura della fascia, foro sulla fascia, scollatura, ecc... Se proprio si deve procedere alla riaccensione del sigaro bisogna farlo subito, finché è caldo per evitare che, poi, prenda un gusto amaro e sgradevole. Tagliare il sigaro a metà, fumandone solo una parte, è una prassi che sottende alcuni accorgimenti, quali: munirsi di un taglierino tagliente, procedere a inumidire con la saliva, il vino , il cognac, il rhum la parte da tagliare, in modo da renderlo meno fragile al taglio.
In presenza di cattivo tiraggio bisogna cercare di porvi rimedio, soprattutto se si tratta di ripieno troppo pressato o la punta del sigaro troppo piccola. Nel caso della punta troppo piccola, si può provare a tagliarne una parte (max 1 cm), oppure si può provare a forare con un ago la strozzatura e cercare di riottenere un buon tiraggio.

E allora? Evviva le passioni più o meno sane e, buona fumata a tutti!