mercoledì 7 febbraio 2007

III: La politica di ieri e ... di oggi


Tribuni militum: nella tradizionale organizzazione sociale romana, il capo dei soldati scelto da ognuna delle tre tribù romane era chiamato tribunus clerum o comandante dei cavalieri. Dal 444 al 367 a.C., insigniti dei poteri consolari, questi vennero frequentemente eletti al posto dei regolari magistrati o consoli. Durante l'età repubblicana, a Roma, i sei tribuni militum erano gli ufficiali anziani delle legioni romane. Dopo il 362 a.C. essi vennero eletti annualmente dal popolo nei comitia tributa o assemblee delle tribù. I tribuni divennero in seguito 24 e altri ancora potevano essere nominati direttamente dal console. Verso la fine del periodo repubblicano, tuttavia, il comando sul campo venne affidato a un ufficiale qualificato e ai tribuni vennero attribuite solo cariche onorifiche. L'elezione al tribunato militare era un mezzo per acquisire più importanti cariche pubbliche.
Tribuni plebis: nei primi anni della repubblica tutti i requisiti e le prerogative di governo erano appannaggio dei patrizi, mentre la plebe, che costituiva gran parte della popolazione, sosteneva il peso della tassazione e del servizio militare. Con la rivolta del 494 a.C., la plebe ottenne il diritto di eleggere i propri magistrati, designati alla difesa dei suoi interessi. Inizialmente due, i tribuni della plebe divennero poi dieci (450 a.C.). Essi godevano di tre importanti privilegi: il diritto di difendere i cittadini da ogni accusa; il diritto di veto su ogni legge proposta dal senato romano; la personale inviolabilità per la durata della carica. Ben presto i tribuni garantirono diritti politici a tutta la popolazione. Gli stessi imperatori romani (ad esempio Augusto) assunsero il titolo di tribuno per attribuirsi un'immagine popolare e tutti i diritti costituzionali legati al tribunato.
La carica, così esautorata, perse col tempo importanza, continuando tuttavia a sussistere sino alla dissoluzione dell'impero romano d'Occidente nel V secolo d.C.
Censore: nella Roma antica, era il magistrato incaricato di censire la popolazione. La carica fu istituita verso la metà del V secolo a.C. in conseguenza della riforma centuriata, che si basava sulla suddivisione della cittadinanza in classi stabilite sul censo. In origine solo patrizi, i censori venivano eletti nei comizi centuriati, e scelti tra gli ex consoli. Eletti ogni cinque anni in numero di due, tenevano la carica per diciotto mesi, il tempo necessario per portare a termine il censimento. Il momento della loro elezione era segnato dalla cerimonia della lustratio, la purificazione della città, da cui il termine lustrum (che designa un periodo di cinque anni). Il potere dei censori comunque limitato dalla collegialità e dalla possibilità di procedere a condanne solo previa autorizzazione dei consoli crebbe col tempo, nella misura in cui aumentavano i loro incarichi: revisione delle liste dei senatori (lectio senatus), cura dei costumi dei cittadini (cura morum), manutenzione degli edifici pubblici, controllo degli appalti. Decaduta alla fine della repubblica, la magistratura venne assunta più volte dagli imperatori, spesso in funzione antisenatoria.
Aediles: nella Roma antica, erano i magistrati che sovrintendevano ai lavori pubblici, dotati anche di alcuni poteri di polizia. Agli edili spettava il compito di sorvegliare la manutenzione e i restauri di templi, edifici pubblici, strade, fogne e acquedotti, di controllare il funzionamento dei mercati pubblici e dei valori di pesi e misure; infine, la direzione dei giochi pubblici e il mantenimento dell'ordine pubblico. La carica, istituita nel 494 a.C., era conferita a due membri della plebe, che venivano eletti annualmente. Nel 367 a.C. furono aggiunti altri due edili, gli aediles curules, che fino al II secolo a.C. erano alternativamente scelti, ogni anno, tra patrizi e plebei. Giulio Cesare, egli stesso inizialmente edile curule, istituì due ulteriori edili di rango plebeo (44 a.C.), i ceriales, che sorvegliavano l'approvvigionamento di grano dell'Urbe.Tradizionalmente, l'edilità costituiva la seconda magistratura, che seguiva la questura nella carriera di un uomo politico romano. Nel corso degli ultimi anni della repubblica la carica di edile fu ambita da molti uomini politici, in quanto offriva la possibilità di ottenere un notevole seguito popolare. Sotto l'impero la carica perse d'importanza, tanto che nel 235 d.C. non esisteva più.
Pretore: in origine il titolo era applicato ai consoli, ma quando (367 a.C.) le leggi Licinie Sestie stabilirono che l'autorità suprema dello stato competeva ai due consoli (uno dei quali plebeo), venne creata la pretura come carica separata per le cause civili e inizialmente aperta solo ai patrizi. Normalmente, la durata della carica era annuale e l'età richiesta trent'anni. Dal 337 a.C. poterono accedervi anche i plebei e la pretura divenne il primo gradino per il consolato. Il pretore urbano, che era in realtà un terzo console ed era accompagnato da sei littori, presiedeva tutte le controversie tra i cittadini di Roma, mentre il pretore peregrinus fu incaricato, dal 242 a.C., di condurre i processi nei quali uno o entrambi i litiganti fossero stranieri. Altri pretori vennero creati per l'amministrazione delle nuove province, finché il loro numero salì a sedici. Tra tutti, il pretore urbano era il più importante e, se i consoli erano lontani da Roma, aveva il potere di convocare le riunioni del senato. Magistrati di rango pretorio presiedevano i tribunali speciali istituiti a Roma per trattare crimini come l'estorsione, la corruzione, il tradimento e l'omicidio. I pretori, come i consoli, venivano eletti dal popolo romano riunito nei comizi e detenevano il potere militare. Allo scadere del loro mandato venivano nominati propretori o governatori militari. Con la riorganizzazione delle province, durante l'impero, tutti i governatori delle province imperiali, essendo sotto l'autorità proconsolare dell'imperatore, furono designati come propretori, fossero essi di rango consolare o di rango retorio.
Oggi, come si evince, siamo alquanto lontano dai sistemi aurei dell’epoca repubblicana di Roma del cursus honorus. Non esiste una “carriera” politica/pubblica normata. Il politico, senza nessuna referenza particolare, è mosso, esclusivamente, da interessi personali che possono essere economici o giudiziari. Le qualità morali e professionali che il sistema gli richiede, per riuscire nel suo intento, sono sempre le stesse: capacità, esclusivamente, oratorie e cinismo politico. Non sono richieste altre capacità professionali specifiche e, tanto meno, valori retorici, ma pur sempre pregnanti, come il senso dello Stato, della Patria, della solidarietà, della dignità, della libertà dell’uomo e della famiglia, anche allargata. Al parco buoi viene chiesto, esclusivamente, l’autorizzazione a perseguire i propri intendimenti, attraverso il suffragio universale (facilmente orientabile dai media e dal Vaticano), “concedendo”, in contropartita, la spada di Damocle del debito pubblico, della sicurezza pubblica, dello sviluppo, della crescita, della disgregazione della famiglia, delle imposte, delle tasse, dei contributi, ecc…. Tutte necessità sovrastrutturali dettate, non dalla loro bramosia di potere, ma dell’Europa e del mondo globalizzato. Sarebbe ora di dire basta!

Segue...

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